Ce lo stiamo chiedendo tutti, dopo che un mostro sacro della musica classica come violinista Uto Ughi ha definito i Maneskin “un insulto all'arte e alla cultura”. Naturalmente non è mancato chi si è schierato subito dalla parte della band, che tanto successo sta riscuotendo da un paio d'anni a questa parte, bollando l'affermazione come snob e pretenziosa e affermando che anche il rock (se fatto bene) è arte.
Ma chi decide se è fatto bene oppure no?
È solo il livello artistico dei Maneskin a determinare il loro successo?
Oppure influisce il loro modo di presentarsi trasgressivo, provocatorio e decisamente non convenzionale? E se si, questo ha a che vedere con l'arte?
Domande che mi faccio, da ascoltatrice di musica, e che rivolgo a Mico Argirò, che invece di musica si occupa per davvero.
Partiamo dalla domanda "È solo il livello artistico dei Maneskin a determinare il loro successo?" per la quale credo che la risposta sia assolutamente no. Non ritengo i Maneskin particolarmente artistici o votati all'arte, credo siano più un ottimo prodotto di marketing e che, in questo mondo musicale capitalistico e estremamente consumistico, vadano molto molto bene così. Credo la chiave del successo dei Maneskin sia da ricercare nel grande investimento estetico (di immagine, di suono, di pubblicità, di occasioni create, di radio, di televisioni) e ritengo il gusto del pubblico mainstream non definito e ingenuo, facilmente manipolabile, quindi sensibile a questo investimento. L'arte è un'altra cosa e, a tutti i livelli nel panorama musicale italiano, credo abbiamo begli esempi. I Maneskin per me non rientrano nemmeno in una top 10 artistica e a me loro piacciono, ma piacciono per quello che sono: un bel prodotto da supermercato, leader nelle vendite, curato, ma assolutamente superficiale. Loro sono chiaramente il miglior prodotto da supermercato che abbiamo nella musica di largo consumo italiana. L'arte credo davvero sia altro: sangue, notti insonni, sentimenti ed emozioni, profondità di ogni singolo dettaglio, significato e significante, forma e contenuto. E questa roba oggi non vende, c'è poco da girarci intorno: è destinata ad una nicchia (e forse è sempre stato così). E questo sembra possa non essere cosa solo negativa.
Mi piacerebbe che questo discorso non venga preso come un vecchio trombone di un boomer, come potrebbe essere Uto Ughi (che in realtà ha l'autorevolezza per esprimere qualsiasi parere voglia sulla musica, non credo debba dimostrare nulla e noi dobbiamo accettare e meditare sulle parole di uno come lui). Io non credo che l'arte soffra di antichità o modernismo, di fazioni o altro. L'arte, se è Arte, non può non essere riconosciuta come tale; può essere fraintesa all'inizio, non capita, ma poi si riconosce. Come una luce che non può essere confusa col buio.
Perché un artista ha bisogno di puntare sul look per aumentare il suo consenso? Diciamo che sicuramente è semplicistico e frettoloso liquidare la questione come il tentativo di spostare l'attenzione da quella che potrebbe essere una carente abilità artistica. A questo proposito mi viene in mente un Elton John dei primi anni di carriera, eccentrico, si, ma dal valore artistico a mio parere indiscutibile.
Prima parlavo proprio di forma e contenuto. L'estetica, anche quella fisica e d'immagine quindi non solo quella sonora, non fa parte del significato, è essa stessa significato. L'estetica di gente come Bowie o Renato Zero, hai citato Elton John, ma io penso anche a gente come De André o Dalla, è essa stessa arte e fa parte del messaggio artistico di questi personaggi. Quello che differenzia, secondo me, questi artisti rispetto a gente come i Maneskin o Achille Lauro è proprio il messaggio artistico, laddove nei secondi se non è proprio assente è molto flebile e non definito, liquido, ignavo, scipito. Ma, forse, il messaggio è proprio qui, specchio dei tempi, dell'individualismo imperante, dell'assenza totale di ideologie, religioni o punti di riferimento.
Forse siamo una generazione di bei gusci tanto vuoti? Forse lo è la massa? Di sicuro lo è la massa, ma io temo per gli individui, sempre più abbandonati a questi riferimenti artistico-culturali. Credo una metafora ottima possa essere il caso Fedez che ride sulla Orlandi, senza entrare nello specifico e citando solo velatamente Pasolini: mangiate la merda e, di colpo, vi stupite che sia merda? Vabbè che il giorno dopo avete già dimenticato tutto e riprendete a mangiare...
Per concludere e tornare sulla domanda iniziale e principale "Il rock è arte?" credo che non dobbiamo concentrarci sullo stile, che sia rock, rap o altro, ma sulla complessità dell'opera: se è arte si vede, non ci sono dubbi, ma il riconoscerlo è un fatto personale, intimo.
Sul "riconoscere" potremmo però parlare per ore, qualche sera fa Morgan trattava proprio questo tema... Riconoscere sé stessi nell'opera d'arte, riconoscersi come simili, essere riconoscenti all'arte. Diciamo che io temo per gli individui, come ho detto prima: individui distratti, pigri, superficiali, come potranno riconoscere l'arte? Non riconosceranno, prima o poi, per arte ciò che non lo è, ma è soltanto simile a loro?
Vado a bermi un gin tonic, che è meglio.