2024-05-04
Nostralgia di Coma_Cose
Ammetto di rifuggire l’indie italiano senza troppe paranoie: ci sono una stranezza, un livello di no-sense che spesso e volentieri sono un po’ too much. D’accordo che sono elementi interni al genere, ma il troppo stroppia. Frasi accozzate così a caso solo per l’effetto sorpresa non tendono a sorprendermi, non mi dicono nulla. C’è una generale illogicità che credo abbia come scopo quello di decostruire una realtà complessa ma a mio parere altro non fa che complicarla ulteriormente.
Naturale che Calcutta piaccia sempre, ma è un’eccezione. Per esempio, i Pinguini Tattici Nucleari non li riesco proprio a digerire: a parte la personale avversione per la S moscia del cantante, per cui però nessuno nulla può c’è tanto altro, di volontario, che non mi torna. A partire dal troppo entusiasmo e dall’effetto un po’ da circo che si cerca di ottenere: bene lo svago, ma anche qui attenzione a non esagerare. Per inciso, ho sempre apprezzato L’officina della camomilla, che però sono stati una stella cadente di breve durata. Promettente è Lucio Corsi, si spera che non sia anche lui una corta parabola.
Comunque, per questa ragione e questo mio pregiudizio non mi ero mai dedicato a un ascolto attento dei Coma_Cose, che nella mia ignoranza mi sono sempre sembrati un’italianizzazione dei compianti Die Antwoord. Mi ha però colpito la loro partecipazione al Gran Festival di Sanremo: molto più semplici di come me li immaginavo. Intimamente dolci, per far scena bastava loro guardarsi negli occhi e accendere con un accendino un anello-candela. Nel silenzio e nel vuoto dell’Ariston c’era in loro la memoria di un contatto perso e bramato da tutti per un anno intero.
Mi sono quindi invitato a dare una possibilità al loro ultimo album, Nostralgia. E non me ne sono pentito. Here’s why: perché non ho trovato quell’illogicità di prima, anzi una logicità interna molto attenta, pur in un tessuto dai confini se non bizzarri quantomeno particolari. Due elementi che ho trovato in tutti i brani e che hanno contribuito a farmi sentire bene nell’ascolto sono questi: rumori di disturbo disseminati qua e là e un crescendo in ogni canzone, che pian piano carica fino a esplodere sulla fine.
Qualche esempio per spiegarmi meglio: prendiamo l’ultima canzone prima dell’Outro che sembra più un’Intro (bell’idea averlo collocato lì, raccontando la storia dopo che la storia è stata vissuta, o meglio ascoltata), Zombie al Carrefour. Il titolo mi sembrava piuttosto paraculo, invece ci azzecca: i rumori intermittenti qui, naturalmente, sono i beep delle casse, mentre il crescendo merita qualche parola e analisi in più. Si parte da questo verso: Tra un amaro che finisce con il bis e una pastiglia che comincia con la x lascio fuori nel bidone dell’Humana la mia buona volontà che l’ho già usata troppo. E si giunge a questo: Perché fare la spesa a me fa stare bene, perché mi fa pensare a quando la facevamo insieme. Perché ora che stai meglio, sento che mi devo prendere un po’ più cura di me, sempre che ci riesco. Adesso pago ed esco, fuori c’è un’alba splendida. In mezzo, un percorso tra i corridoi di un supermercato, nella ricerca di una pienezza – quella dei carrelli – che colmi i nostri vuoti interiori.
Altri elementi che costellano l’album, composto di – purtroppo, lo ammetto – sole sei tracce sono l’elemento temporale (Ma il tempo fa un errore e questo errore è perdonare tutto oppure Col tempo tutto si addomestica) e il conflitto metropoli-provincia, che è anche un conflitto interno-esterno (Il Nirvana in Brianza). Positivo anche l’aver abbandonato un’altra ossessione tipica dell’indie italiano, che è il decorare la voce con un perfetto italiano in dizione: no, loro sono del nord e te lo fanno sentire. Tiè.
Spettacolare e sintomatico di tutta una stagione, in Discoteche abbandonate, questo pezzo: L’effimero scompare mentre un berlusconismo interstellare a caccia di miserie si lascia indietro solo le macerie. Altra traccia davvero piacevole è La canzone dei lupi, che carbura lentamente e dà fiato attraverso un ampio respiro di synth nel ritornello.
Insomma, c’è una lineare organicità nell’organismo che Fausto Zanardelli e Francesca Mesiano compongono, un microcosmo speciale. Super interessanti, più in generale e anche nei brani degli album precedenti, i giochi linguistici alla Wittgenstein. Bravi ragazzi, siete aria fresca per il vostro genere.
Naturale che Calcutta piaccia sempre, ma è un’eccezione. Per esempio, i Pinguini Tattici Nucleari non li riesco proprio a digerire: a parte la personale avversione per la S moscia del cantante, per cui però nessuno nulla può c’è tanto altro, di volontario, che non mi torna. A partire dal troppo entusiasmo e dall’effetto un po’ da circo che si cerca di ottenere: bene lo svago, ma anche qui attenzione a non esagerare. Per inciso, ho sempre apprezzato L’officina della camomilla, che però sono stati una stella cadente di breve durata. Promettente è Lucio Corsi, si spera che non sia anche lui una corta parabola.
Comunque, per questa ragione e questo mio pregiudizio non mi ero mai dedicato a un ascolto attento dei Coma_Cose, che nella mia ignoranza mi sono sempre sembrati un’italianizzazione dei compianti Die Antwoord. Mi ha però colpito la loro partecipazione al Gran Festival di Sanremo: molto più semplici di come me li immaginavo. Intimamente dolci, per far scena bastava loro guardarsi negli occhi e accendere con un accendino un anello-candela. Nel silenzio e nel vuoto dell’Ariston c’era in loro la memoria di un contatto perso e bramato da tutti per un anno intero.
Mi sono quindi invitato a dare una possibilità al loro ultimo album, Nostralgia. E non me ne sono pentito. Here’s why: perché non ho trovato quell’illogicità di prima, anzi una logicità interna molto attenta, pur in un tessuto dai confini se non bizzarri quantomeno particolari. Due elementi che ho trovato in tutti i brani e che hanno contribuito a farmi sentire bene nell’ascolto sono questi: rumori di disturbo disseminati qua e là e un crescendo in ogni canzone, che pian piano carica fino a esplodere sulla fine.
Qualche esempio per spiegarmi meglio: prendiamo l’ultima canzone prima dell’Outro che sembra più un’Intro (bell’idea averlo collocato lì, raccontando la storia dopo che la storia è stata vissuta, o meglio ascoltata), Zombie al Carrefour. Il titolo mi sembrava piuttosto paraculo, invece ci azzecca: i rumori intermittenti qui, naturalmente, sono i beep delle casse, mentre il crescendo merita qualche parola e analisi in più. Si parte da questo verso: Tra un amaro che finisce con il bis e una pastiglia che comincia con la x lascio fuori nel bidone dell’Humana la mia buona volontà che l’ho già usata troppo. E si giunge a questo: Perché fare la spesa a me fa stare bene, perché mi fa pensare a quando la facevamo insieme. Perché ora che stai meglio, sento che mi devo prendere un po’ più cura di me, sempre che ci riesco. Adesso pago ed esco, fuori c’è un’alba splendida. In mezzo, un percorso tra i corridoi di un supermercato, nella ricerca di una pienezza – quella dei carrelli – che colmi i nostri vuoti interiori.
Altri elementi che costellano l’album, composto di – purtroppo, lo ammetto – sole sei tracce sono l’elemento temporale (Ma il tempo fa un errore e questo errore è perdonare tutto oppure Col tempo tutto si addomestica) e il conflitto metropoli-provincia, che è anche un conflitto interno-esterno (Il Nirvana in Brianza). Positivo anche l’aver abbandonato un’altra ossessione tipica dell’indie italiano, che è il decorare la voce con un perfetto italiano in dizione: no, loro sono del nord e te lo fanno sentire. Tiè.
Spettacolare e sintomatico di tutta una stagione, in Discoteche abbandonate, questo pezzo: L’effimero scompare mentre un berlusconismo interstellare a caccia di miserie si lascia indietro solo le macerie. Altra traccia davvero piacevole è La canzone dei lupi, che carbura lentamente e dà fiato attraverso un ampio respiro di synth nel ritornello.
Insomma, c’è una lineare organicità nell’organismo che Fausto Zanardelli e Francesca Mesiano compongono, un microcosmo speciale. Super interessanti, più in generale e anche nei brani degli album precedenti, i giochi linguistici alla Wittgenstein. Bravi ragazzi, siete aria fresca per il vostro genere.
Tag: coma_cose, nostralgia, recensione, album, musica alternativa italiana
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