2024-12-10
La storia semplice e il destino tragico di Daniel Küblböck
È quasi impossibile nel mondo di oggi coniugare due aspetti inevitabili della morte. altrui. Ancora di più se sei una star del pop, emergente nel panorama mondiale e già conclamata nel tuo paese.Il primo elemento è il silenzio: chi muore, in particolare modo chi lo sceglie come gesto deliberato, non parlerà mai più, non potrà replicare, non avrà più voce in capitolo, offre silenzio e silenzio pretende. Ma siamo uomini e nessuno di noi è esente dalla curiosità, sia essa ingenua voglia di saperne di più o gusto del pettegolezzo. Aggiungiamo un ulteriore ingrediente, i media, ecco quanto basta per non restituire la pace dovuta ad un’anima.
E’ il destino, per esempio, di Daniel Küblböck.
Daniel è un simpatico artista, onesto, nulla di innovativo o particolarmente stupefacente nel panorama musicale, ma sicuramente un vento di aria fresca nel pop odierno fatto di cantanti che si prendono troppo sul serio, sia dal punto di vista vocale che testuale, attribuendosi abilità lirico retoriche, che non fanno altro se non appesantire le loro semplici idee e indispettire gli amanti dei testi cantautoriali.
Daniel Küblböck si presenta sulla scena invece portando in mano, dicevo e ripeto onestamente, il suo pacchetto di semplicità.
Il suo stile è caratterizzato da un ricorso e recupero costante dei riferimenti musicali passati, dagli anni 50, al musical anni 80 alle canzoni del più recente pop anni 90, svecchiati attraverso l’utilizzo di una strumentazione più attuale, ma mai celati.
Ascoltando Berlin, per esempio, veniamo catapultati immediatamente nella languida atmosfera di My way di Sinatra o nelle malinconiche note di She di Elvis Costello. Gli orecchi più allenati apprezzeranno gli espliciti richiami, quelli meno in forma riconosceranno comunque un non so che di famigliare.
Passando ad uno dei suoi singoli più famosi, You drive me crazy, ci ritroviamo invece in pantaloni di pelle, chiodo, con la brillantina in testa e un sorriso compiaciuto stampato in faccia.
L’aspetto curioso e apprezzabile è che non si tratta di mancanza di identità musicale, ma di un gioco divertentissimo, che, una volta compreso ci porta a chiederci in quale nuovo mondo saremo catapultati avviando un nuovo brano.
Il gioco continua anche se meno evidente nei lavori usciti dal 2011 in avanti. Da questo momento Küblböck, inizia a presentarci un’immagine diversa del suo personaggio, meno bambino superstar e più artista adulto. Il look diventa meno spettacolare, casual, spunta una timida barbetta e la voce si inscurisce, perde i toni cristallini a favore di una timbrica più matura, anche se a volte forzatamente artefatta. Continua il gioco degli omaggi e se strizziamo gli occhi guardando la sua figura da lontano, sembra apparire l’immagine di un Ricky Martin meno latino, più lounge.Un artista che non ha paura di mostrarsi per quello che è, lo dimostrano i numerosi video i
n cui si esibisce in pubblico con leggii montati al momento, luci traballanti su palchi che non sono certo quelli blasonati e spesso finti dell’industria discografica del nuovo millennio.
Un cantante che non ha paura di divertirsi e mi piacerebbe molto se in un’improbabile operazione di revisione digitale, componendo Daniel Küblböck sulla barra google scomparisse ogni notizia sulla sua tragica morte e, al suo posto, apparisse il video di The Lion Sleeps Tonight.
E’ il destino, per esempio, di Daniel Küblböck.
Daniel è un simpatico artista, onesto, nulla di innovativo o particolarmente stupefacente nel panorama musicale, ma sicuramente un vento di aria fresca nel pop odierno fatto di cantanti che si prendono troppo sul serio, sia dal punto di vista vocale che testuale, attribuendosi abilità lirico retoriche, che non fanno altro se non appesantire le loro semplici idee e indispettire gli amanti dei testi cantautoriali.
Daniel Küblböck si presenta sulla scena invece portando in mano, dicevo e ripeto onestamente, il suo pacchetto di semplicità.
Il suo stile è caratterizzato da un ricorso e recupero costante dei riferimenti musicali passati, dagli anni 50, al musical anni 80 alle canzoni del più recente pop anni 90, svecchiati attraverso l’utilizzo di una strumentazione più attuale, ma mai celati.
Ascoltando Berlin, per esempio, veniamo catapultati immediatamente nella languida atmosfera di My way di Sinatra o nelle malinconiche note di She di Elvis Costello. Gli orecchi più allenati apprezzeranno gli espliciti richiami, quelli meno in forma riconosceranno comunque un non so che di famigliare.
Passando ad uno dei suoi singoli più famosi, You drive me crazy, ci ritroviamo invece in pantaloni di pelle, chiodo, con la brillantina in testa e un sorriso compiaciuto stampato in faccia.
L’aspetto curioso e apprezzabile è che non si tratta di mancanza di identità musicale, ma di un gioco divertentissimo, che, una volta compreso ci porta a chiederci in quale nuovo mondo saremo catapultati avviando un nuovo brano.
Il gioco continua anche se meno evidente nei lavori usciti dal 2011 in avanti. Da questo momento Küblböck, inizia a presentarci un’immagine diversa del suo personaggio, meno bambino superstar e più artista adulto. Il look diventa meno spettacolare, casual, spunta una timida barbetta e la voce si inscurisce, perde i toni cristallini a favore di una timbrica più matura, anche se a volte forzatamente artefatta. Continua il gioco degli omaggi e se strizziamo gli occhi guardando la sua figura da lontano, sembra apparire l’immagine di un Ricky Martin meno latino, più lounge.Un artista che non ha paura di mostrarsi per quello che è, lo dimostrano i numerosi video i
n cui si esibisce in pubblico con leggii montati al momento, luci traballanti su palchi che non sono certo quelli blasonati e spesso finti dell’industria discografica del nuovo millennio.
Un cantante che non ha paura di divertirsi e mi piacerebbe molto se in un’improbabile operazione di revisione digitale, componendo Daniel Küblböck sulla barra google scomparisse ogni notizia sulla sua tragica morte e, al suo posto, apparisse il video di The Lion Sleeps Tonight.
Tag: Daniel Küblböck, gay, discriminazione, suicidio, semplicitá, allegria
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