2024-09-12
Il frutto della protesta
Oggi vi voglio riportare al 1939, quando una coinvolgente e ammaliante Billie Holiday rompeva il tabù della denuncia razziale intonando per la prima volta le gelide e strazianti note di Strange Fruit, canzone jazz che rappresenterà il Do della protesta attraverso la musica.
I versi nacquero dalla collaborazione di due personalità: Lewis Allan, pseudonimo di un insegnante ebreo profondamente afflitto da una fotografia che mostrava il linciaggio di due neri delle piantagioni del sud, e la stessa Holiday, da sempre costretta a subire l’umiliazione di essere nata donna, oltretutto nera, in un’America ancora poco propensa alla tolleranza.Oggi ci potrebbe sembrare assurdo pensare di non poter utilizzare la musica come reclamo, ma quelli erano anni oscuri, anni di proibizionismo e divisioni; la censura non era di certo una pratica occulta, tanto che molte case discografiche rifiutarono la pubblicazione del brano per la sua forte connotazione critica.
L’artista continuò imperterrita sul suo imperturbabile cammino, chiudendo tutti i suoi concerti con la canzone che verrà in seguito riconosciuta come capolavoro storico.
Lo strano frutto che portano gli alberi del sud non sono altro che i corpi penzolanti degli impiccati, che con il loro sangue bagnano le foglie e le radici, quei corpi che sono stati dimenticati, sacrificati sull’altare di un subdolo residuo di colonialismo.
La Holiday canta con una voce rotta e durissima, fantastica anche nella sua sofferenza, ad essa si accompagna una mimica struggente, un inconfondibile aggrottamento di ciglia che non lascia dubbi sul suo reale coinvolgimento.
In un’epoca attuale in cui il razzismo sembra di nuovo alle porte, in cui la politica ci prospetta ancora una volta muri e frontiere come difesa dal diverso, mi sono sentita personalmente di proporre un brano che ha segnato letteralmente la rottura del silenzio, la pretesa di un rispetto che è diritto sacro e inviolabile.
Buon ascolto.
I versi nacquero dalla collaborazione di due personalità: Lewis Allan, pseudonimo di un insegnante ebreo profondamente afflitto da una fotografia che mostrava il linciaggio di due neri delle piantagioni del sud, e la stessa Holiday, da sempre costretta a subire l’umiliazione di essere nata donna, oltretutto nera, in un’America ancora poco propensa alla tolleranza.Oggi ci potrebbe sembrare assurdo pensare di non poter utilizzare la musica come reclamo, ma quelli erano anni oscuri, anni di proibizionismo e divisioni; la censura non era di certo una pratica occulta, tanto che molte case discografiche rifiutarono la pubblicazione del brano per la sua forte connotazione critica.
L’artista continuò imperterrita sul suo imperturbabile cammino, chiudendo tutti i suoi concerti con la canzone che verrà in seguito riconosciuta come capolavoro storico.
Lo strano frutto che portano gli alberi del sud non sono altro che i corpi penzolanti degli impiccati, che con il loro sangue bagnano le foglie e le radici, quei corpi che sono stati dimenticati, sacrificati sull’altare di un subdolo residuo di colonialismo.
La Holiday canta con una voce rotta e durissima, fantastica anche nella sua sofferenza, ad essa si accompagna una mimica struggente, un inconfondibile aggrottamento di ciglia che non lascia dubbi sul suo reale coinvolgimento.
In un’epoca attuale in cui il razzismo sembra di nuovo alle porte, in cui la politica ci prospetta ancora una volta muri e frontiere come difesa dal diverso, mi sono sentita personalmente di proporre un brano che ha segnato letteralmente la rottura del silenzio, la pretesa di un rispetto che è diritto sacro e inviolabile.
Buon ascolto.
Tag: razzismo, rotturadelsilenzio, immigrazione, schiavismo, blackmusic
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