2024-04-03
Da Cartesio a Billie Eilish
Comprendo anche io che l’accostamento dei due personaggi è azzardato e in un certo senso può sembrare poco consono, ad alcuni magari anche profano. Cartesio è il grande filosofo razionalista del Seicento, teorico di un nuovo sistema del sapere, profondamente moderno, fondato sul principio primo del cogito ergo sum, il penso, quindi sono. Billie Eilish, invece, classe 2001 è una giovanissima cantante che nel giro di qualche anno ha scalato le classifiche mondiali facendo breccia nei cuori di migliaia di suoi coetanei. Vestiti larghi, capelli bicolore, occhiaie che sono il manifesto evidente di una svogliatezza congenita, percepibile anche nello stile musicale, frutto di un impasto strano tra diversi generi: indie, elettronico, synth pop, contemporary R&B. Certo, tanti probabilmente conosceranno il suo brano bad guy, che ha girato molto in radio e in qualche modo è sì geniale, riuscendosi a infiltrarsi in testa e uscirne difficilmente, ma sicuramente nessuno la avvicinerebbe mai al genio di Cartesio, con cui nulla sembra avere a che fare.
Eppure, a farlo ha voluto essere lei stessa con l’ultimo singolo Therefore I am (tradotto, quindi sono), che proprio nel titolo cita il filosofo francese. Qui non si vuole far altro quindi che seguire il suo volo di Icaro tentando di sviscerare i contatti che tra i due sono posti, che dietro all’apparenza, possono in realtà essere più profondi di quanto si possa immaginare. Con questo non si vuole certo affermare che Billie Eilish possa sostituirsi a una tradizione filosofica solida e solidificatasi col tempo, né che possa essere considerata una teorica del contemporaneo o post-contemporaneo, ma in quanto figlia del suo tempo, sicuramente ne è incarnazione.
Perché non provare dunque a seguire la linea tracciata dall’artista e vedere dove può portare? A essere sintomatica in questo senso non è a parer mio tanto la canzone, che si limita a una semplice citazione, nel ritornello, di quello che alla fine è un altro ritornello, il motto cartesiano; davvero significativo è il video. Rivoluzionario nella sua banalità: la scenografia, precostituita, è quella di un centro commerciale. La cantante, che veste qui anche i panni della regista, percorre scale mobili, vetrine, negozi e ristoranti fast-food sulle note della canzone, che come buona parte delle altre sue musiche è intrinsecamente ripetitiva, ipnotica. Nulla accade, a parte vederla ogni tanto intrufolarsi dietro qualche bancone e frugare tra le doughnuts e altri tipi di dolci, prelevandoli sbeffante dagli espositori. A metà circa del video, un altro non-accadimento, accompagnato a ragione dall’interruzione della musica: la vediamo attendere un ascensore.
Nessun avvenimento, ma una miriade di simboli: cartelli pubblicitari, manifesti, marchi, oggetti e cibi ready-made (o già pronti, che dir si voglia), quasi come si trattasse di un’opera d’arte Post-Pop-Art. Alla fine del video, dopo che una voce – verosimilmente quella di una guardia notturna – la intima a uscire dal posto, la vediamo sparire nel buio dei garage. Il video si apre e chiude con lei di spalle, senza che questo voglia per forza significare alcunché ed è girato con uno smartphone, il che invece vuol dire molto perché certamente non è una scelta dovuta al budget limitato ma a una riflessione ben precisa.
Non possiamo sapere come sarebbe stata la clip se il centro commerciale non fosse stato chiuso ad hoc per la registrazione (anche se qualcuno ha tentato l’esperimento), ma proprio nella vacuità del luogo si fa preponderante il manifesto che volontariamente o involontariamente vi sta dietro: Eilish non ha bisogno di creare nulla di artistico; per registrare un video le basta fare quello che comunemente tutti facciamo la domenica, ossia recarsi in un centro commerciale. Il che, però, è fortemente teorico, perché gli studi sul Post-moderno, che è del tutto una corrente filosofica, indicano questi luoghi come non-luoghi: nella vastità, nella moltitudine, nella massa, vi è il singolo, siamo noi, che ci troviamo in un luogo in cui tutto, potenzialmente, è a portata di mano. Sono i luoghi del compro quindi sono. Un tutto in cui in sostanza non vi è nulla, all’interno del quale stiamo noi, singoli nella massa: un gioco di incastri e pieni-vuoti.
Allo stesso modo, tutto è dissacrante nel video, ma contemporaneamente nulla lo è: Billie Eilish non fa altro che mostrarci un nostro pomeriggio domenicale, dimostrandoci quanto filosofico un nostro pomeriggio domenicale possa essere.
Eppure, a farlo ha voluto essere lei stessa con l’ultimo singolo Therefore I am (tradotto, quindi sono), che proprio nel titolo cita il filosofo francese. Qui non si vuole far altro quindi che seguire il suo volo di Icaro tentando di sviscerare i contatti che tra i due sono posti, che dietro all’apparenza, possono in realtà essere più profondi di quanto si possa immaginare. Con questo non si vuole certo affermare che Billie Eilish possa sostituirsi a una tradizione filosofica solida e solidificatasi col tempo, né che possa essere considerata una teorica del contemporaneo o post-contemporaneo, ma in quanto figlia del suo tempo, sicuramente ne è incarnazione.
Perché non provare dunque a seguire la linea tracciata dall’artista e vedere dove può portare? A essere sintomatica in questo senso non è a parer mio tanto la canzone, che si limita a una semplice citazione, nel ritornello, di quello che alla fine è un altro ritornello, il motto cartesiano; davvero significativo è il video. Rivoluzionario nella sua banalità: la scenografia, precostituita, è quella di un centro commerciale. La cantante, che veste qui anche i panni della regista, percorre scale mobili, vetrine, negozi e ristoranti fast-food sulle note della canzone, che come buona parte delle altre sue musiche è intrinsecamente ripetitiva, ipnotica. Nulla accade, a parte vederla ogni tanto intrufolarsi dietro qualche bancone e frugare tra le doughnuts e altri tipi di dolci, prelevandoli sbeffante dagli espositori. A metà circa del video, un altro non-accadimento, accompagnato a ragione dall’interruzione della musica: la vediamo attendere un ascensore.
Nessun avvenimento, ma una miriade di simboli: cartelli pubblicitari, manifesti, marchi, oggetti e cibi ready-made (o già pronti, che dir si voglia), quasi come si trattasse di un’opera d’arte Post-Pop-Art. Alla fine del video, dopo che una voce – verosimilmente quella di una guardia notturna – la intima a uscire dal posto, la vediamo sparire nel buio dei garage. Il video si apre e chiude con lei di spalle, senza che questo voglia per forza significare alcunché ed è girato con uno smartphone, il che invece vuol dire molto perché certamente non è una scelta dovuta al budget limitato ma a una riflessione ben precisa.
Non possiamo sapere come sarebbe stata la clip se il centro commerciale non fosse stato chiuso ad hoc per la registrazione (anche se qualcuno ha tentato l’esperimento), ma proprio nella vacuità del luogo si fa preponderante il manifesto che volontariamente o involontariamente vi sta dietro: Eilish non ha bisogno di creare nulla di artistico; per registrare un video le basta fare quello che comunemente tutti facciamo la domenica, ossia recarsi in un centro commerciale. Il che, però, è fortemente teorico, perché gli studi sul Post-moderno, che è del tutto una corrente filosofica, indicano questi luoghi come non-luoghi: nella vastità, nella moltitudine, nella massa, vi è il singolo, siamo noi, che ci troviamo in un luogo in cui tutto, potenzialmente, è a portata di mano. Sono i luoghi del compro quindi sono. Un tutto in cui in sostanza non vi è nulla, all’interno del quale stiamo noi, singoli nella massa: un gioco di incastri e pieni-vuoti.
Allo stesso modo, tutto è dissacrante nel video, ma contemporaneamente nulla lo è: Billie Eilish non fa altro che mostrarci un nostro pomeriggio domenicale, dimostrandoci quanto filosofico un nostro pomeriggio domenicale possa essere.
Tag: Billie Eilish, Cartesio, electropop, non luoghi
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