Estremometal
Esplorando l'Estremometal: biografia, genere musicale, migliori canzoni e critica
Se stai cercando una musica difficile, enfatica e dall'energia trascinante, l'Estremometal potrebbe essere quello che fa per te. Questo genere musicale, molto distante dai canoni tradizionali della musica pop e rock, unisce elementi di genere estremo come il Black metal, il Death metal, il Grindcore, e persino il Doom metal. In questo post ti parlerò in modo approfondito dell'Estremometal, della sua storia, delle sue influenze musicali e delle migliori canzoni per farti apprezzare meglio questo genere dal sound intenso e originale.
L'Estremometal nasce nella seconda metà degli anni '80, come evoluzione del Thrash metal e del Death metal. Inizialmente, queste correnti musicali erano basate sulla velocità e sull'aggressività, ma con l'Estremometal la musica diventa ancora più caotica e dissonante, raggiungendo un'estrema violenza sonora. Il filosofo francese Gilles Deleuze ha descritto questa musica tipica del genere estremometal come un'apertura alla schizofrenia, in grado di far emergere i corpi e le voci tra caos e distorsione.
I pionieri dell'Estremometal includono nomi come i norvegesi Mayhem, gli americani Morbid Angel e i svedesi At the Gates. Tuttavia, alcuni gruppi italiani come gli Antropofagus, i Necrodeath e i Voids of Vomit hanno sicuramente lasciato il segno nella scena dell'Estremometal. Inoltre, il metal estremo ha visto anche l'influenza di altri sottogeneri come il Progressive metal, il Gothic metal, e persino il Funk rock.
Come si può immaginare, il genere estremometal non è adatto ad ogni pubblico: l'uso di urla, growl e blast beat può infatti risultare troppo eccessivo per alcuni ascoltatori. Tuttavia, non si può negare che il genere sia pieno di produzioni personali e di qualità: ricordiamo ad esempio l'album Demigod dei polacchi Behemoth, l'ultimo album dei norvegesi Ulver Flowers of Evil. Ma non solo, anche nomi come Meshuggah e Opeth lasciano il segno per la loro carica emotiva ed estetica.
In sintesi, se stai cercando un'esperienza musicale intensa e fuori dagli schemi, l'Estremometal potrebbe essere il genere che fa per te. Attraverso la sua storia, i suoi suoni, e le sue migliori canzoni, spero di averti fatto scoprire una musica che può fare la differenza. L'Estremometal è un'esperienza che richiede impegno e attenzione, ma che può sicuramente premiare l'ascoltatore più curioso e aperto di mente.
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2024-11-15
Hounds- L'ululato del profondo metal
I segugi piemontesi entrano immediatamente tra gli highlights personali di questo mese con il loro primo lavoro Warrior of Sun, uscito per la Punishment 18 Records qualche mese fa, che mi ha portato ad inserire la loro Condemned to Hell nell’ultima puntata di Subterranea. Per l’occasione ho contattato i ragazzi della band per l’intervista che potrete leggere di seguito… e come sempre, stappatevi una bella birra gelata e buona lettura!
Ciao ragazzi, prima di tutto grazie per la disponibilità e benvenuti sulle pagine di StaiMusic. Per rompere il ghiaccio vi chiederei di iniziare a raccontateci come nasce il progetto Hounds e quali sono le influenze che hanno ispirato il vostro sound.
Ciao Dani, grazie a te! La band ha preso vita nel 2016 in modo del tutto spontaneo e casuale. All’epoca il nostro tastierista Marco De Fabianis viveva proprio sopra al pub in cui lavorava Massimo Ventura, che negli Hounds ricopre il ruolo di chitarrista e cantante. Per farla breve, una sera, mentre stavano parlando di musica è partito un pezzo dei Savatage da una delle playlist selezionate da Massimo. Da qui si è sviluppata subito una forte intesa ed è nata l’idea di formare una tribute band dei Savatage senza pretese e soprattutto con l’idea di divertirsi in sala prove. Successivamente le cose hanno iniziato a ingranare con l’entrata di Enrico Cairola alla batteria, già amico di lunga data di Massimo e poi con l’ingresso di Stefano Paparesta al basso e del rocker Alessandro Zelferino all’altra chitarra. Alessandro si è rivelata la scelta più adatta visto il suo animo più rock, ottimo per stemperare un sound altrimenti troppo virato sul Metal. Da qui in poi le cose sono procedute molto velocemente: dalle cover abbiamo iniziato a fare reciproca conoscenza ed affiatarci e in poco tempo abbiamo iniziato a comporre del materiale inedito. Abbiamo poi seguito la classica gavetta di una band, suonando molto in sala prove, facendoci le ossa con concerti in piccoli locali e pubblicando l’Ep Hounds, per poi pubblicare Warrior of Sun quest’anno. Per concludere, nostre principali influenze sono legate principalmente al Metal classico, con Savatage, Judas Priest, Virgin Steele e anche dall’Hard Rock e il Prog anni settanta come Rush, Rainbow e Deep Purple.
Come avete anticipato, nel 2018 avete pubblicato il vostro primo Ep che vi ha portato alla Punishment 18 Records con cui siete usciti a fine gennaio di quest’anno (nda 2020) con il primo album. Com’è stato lavorare all’Ep e com’è stato incidere il primo album con la Punishment?
Lavorare all’Ep prima e a Warrior poi è stato eccitante e anche liberatorio. Vedi, se escludiamo Massimo ed Enrico che provengono da altre band, per gli altri queste sono state le primissime esperienze in studio di registrazione. Da una parte c’è il nervosismo ed una certa tensione legata all’inesperienza e alla pressione di dover registrare le proprie parti al meglio delle proprie capacità, ma anche una buona dose di orgoglio e soddisfazione nell’aver lavorato e portato alla sua forma definitiva il frutto di un lungo lavoro. Siamo inoltre molto contenti di collaborare con la Punishment 18, una label molto attenta all’underground Metal più tradizionale. Questa etichetta ci sta seguendo molto, cercando di diffondere in lungo e in largo il nostro nome e non potremmo essere più soddisfatti di così.
Continua la lettura dell’intervista nella pagina della band, Hounds.
Ciao ragazzi, prima di tutto grazie per la disponibilità e benvenuti sulle pagine di StaiMusic. Per rompere il ghiaccio vi chiederei di iniziare a raccontateci come nasce il progetto Hounds e quali sono le influenze che hanno ispirato il vostro sound.
Ciao Dani, grazie a te! La band ha preso vita nel 2016 in modo del tutto spontaneo e casuale. All’epoca il nostro tastierista Marco De Fabianis viveva proprio sopra al pub in cui lavorava Massimo Ventura, che negli Hounds ricopre il ruolo di chitarrista e cantante. Per farla breve, una sera, mentre stavano parlando di musica è partito un pezzo dei Savatage da una delle playlist selezionate da Massimo. Da qui si è sviluppata subito una forte intesa ed è nata l’idea di formare una tribute band dei Savatage senza pretese e soprattutto con l’idea di divertirsi in sala prove. Successivamente le cose hanno iniziato a ingranare con l’entrata di Enrico Cairola alla batteria, già amico di lunga data di Massimo e poi con l’ingresso di Stefano Paparesta al basso e del rocker Alessandro Zelferino all’altra chitarra. Alessandro si è rivelata la scelta più adatta visto il suo animo più rock, ottimo per stemperare un sound altrimenti troppo virato sul Metal. Da qui in poi le cose sono procedute molto velocemente: dalle cover abbiamo iniziato a fare reciproca conoscenza ed affiatarci e in poco tempo abbiamo iniziato a comporre del materiale inedito. Abbiamo poi seguito la classica gavetta di una band, suonando molto in sala prove, facendoci le ossa con concerti in piccoli locali e pubblicando l’Ep Hounds, per poi pubblicare Warrior of Sun quest’anno. Per concludere, nostre principali influenze sono legate principalmente al Metal classico, con Savatage, Judas Priest, Virgin Steele e anche dall’Hard Rock e il Prog anni settanta come Rush, Rainbow e Deep Purple.
Come avete anticipato, nel 2018 avete pubblicato il vostro primo Ep che vi ha portato alla Punishment 18 Records con cui siete usciti a fine gennaio di quest’anno (nda 2020) con il primo album. Com’è stato lavorare all’Ep e com’è stato incidere il primo album con la Punishment?
Lavorare all’Ep prima e a Warrior poi è stato eccitante e anche liberatorio. Vedi, se escludiamo Massimo ed Enrico che provengono da altre band, per gli altri queste sono state le primissime esperienze in studio di registrazione. Da una parte c’è il nervosismo ed una certa tensione legata all’inesperienza e alla pressione di dover registrare le proprie parti al meglio delle proprie capacità, ma anche una buona dose di orgoglio e soddisfazione nell’aver lavorato e portato alla sua forma definitiva il frutto di un lungo lavoro. Siamo inoltre molto contenti di collaborare con la Punishment 18, una label molto attenta all’underground Metal più tradizionale. Questa etichetta ci sta seguendo molto, cercando di diffondere in lungo e in largo il nostro nome e non potremmo essere più soddisfatti di così.
Continua la lettura dell’intervista nella pagina della band, Hounds.
Tag: metal italiano, metal emergente, nuovo heavy metal, hounds, intervista, musica metal
2024-10-28
Rogue Deal - La nuova ondata di metal classico
Il primo lavoro omonimo prodotto dalla band veneta dei Rogue Deal, gruppo classic metal che ho adorato sin dal primissimo ascolto, mi ha portato ad inserire uno dei loro pezzi nella terza puntata di Subterranea e questo mi ha dato anche l’occasione di contattare la band per un’intervista che si è rivelata molto, molto interessante e ricca di contenuti. Stappatevi una bella birra gelata e buona lettura!
Ciao ragazzi, prima di tutto grazie e benvenuti sulle pagine di StaiMusic.it. I Rogue Deal sono nati nel 2017, com'è iniziata quest’avventura e come siete arrivati ad incidere il primo EP?
Ciao Daniele, innanzitutto ringraziamo anche te per la grande opportunità che ci dai, per farci conoscere come band e soprattutto per far conoscere il nostro pensiero. Ci siamo formati nel 2017, anche se le cose hanno preso una certa direzione da settembre 2018, dopo l’entrata in formazione del nostro batterista Nicola, trovandoci così finalmente compatti nelle idee e negli intenti musicali. Raggiunta quindi la nostra armonia abbiamo deciso subito di registrare un demo con le prime canzoni pronte, nella speranza di uscire dallo stallo di essere un gruppo sconosciuto e poter così cominciare a fare qualche live.
Dall’ascolto del vostro demo si intuisce da subito che le vostre coordinate stilistiche si spingono sul metal di inizi anni 80’. Quali sono i vostri ascolti e quali i gruppi che vi hanno influenzato maggiormente?
Eh eh, si, diciamo che non lasciamo spazio a molte divagazioni. Questo è il genere musicale che amiamo e che ci mette a nostro agio suonare. Le nostre influenze principali sono Iron Maiden, Diamond Head, Tokyo Blade, Tygers of Pan Tang, Angel Witch e Riot, anche se ascoltiamo moltissime altre band meno conosciute che hanno contribuito a plasmare il nostro gusto e che sicuramente si possono riscontrare anche a livello di songwriting, come ad esempio Virtue, Praying Mantis, Le Griffe, Blaze e molte altre.
Altri giovani gruppi, come voi, in giro per il mondo sembrano aver riscoperto queste sonorità old school che negli ultimi dieci/quindici anni hanno potato ad un trend che ha trovato la sua identità nell'acronimo NWOTHM. Cosa ne pensate?
E’ un’ottima cosa, soprattutto perché questo fenomeno ci ha permesso di scoprire band molto interessanti ed affini alle sonorità a noi più congeniali, e poi come gruppo ci ha permesso di scoprire un mondo fatto di appassionati di heavy metal classico e di reale supporto alle band. Siamo rimasti sorpresi, non ne sapevamo molto prima di esserne tirati dentro con il nostro demo, ma direi proprio che ci sentiamo pienamente dentro a questo trend.
Continua la lettura dell’intervista nella pagina della band, Rogue Deal.
Ciao ragazzi, prima di tutto grazie e benvenuti sulle pagine di StaiMusic.it. I Rogue Deal sono nati nel 2017, com'è iniziata quest’avventura e come siete arrivati ad incidere il primo EP?
Ciao Daniele, innanzitutto ringraziamo anche te per la grande opportunità che ci dai, per farci conoscere come band e soprattutto per far conoscere il nostro pensiero. Ci siamo formati nel 2017, anche se le cose hanno preso una certa direzione da settembre 2018, dopo l’entrata in formazione del nostro batterista Nicola, trovandoci così finalmente compatti nelle idee e negli intenti musicali. Raggiunta quindi la nostra armonia abbiamo deciso subito di registrare un demo con le prime canzoni pronte, nella speranza di uscire dallo stallo di essere un gruppo sconosciuto e poter così cominciare a fare qualche live.
Dall’ascolto del vostro demo si intuisce da subito che le vostre coordinate stilistiche si spingono sul metal di inizi anni 80’. Quali sono i vostri ascolti e quali i gruppi che vi hanno influenzato maggiormente?
Eh eh, si, diciamo che non lasciamo spazio a molte divagazioni. Questo è il genere musicale che amiamo e che ci mette a nostro agio suonare. Le nostre influenze principali sono Iron Maiden, Diamond Head, Tokyo Blade, Tygers of Pan Tang, Angel Witch e Riot, anche se ascoltiamo moltissime altre band meno conosciute che hanno contribuito a plasmare il nostro gusto e che sicuramente si possono riscontrare anche a livello di songwriting, come ad esempio Virtue, Praying Mantis, Le Griffe, Blaze e molte altre.
Altri giovani gruppi, come voi, in giro per il mondo sembrano aver riscoperto queste sonorità old school che negli ultimi dieci/quindici anni hanno potato ad un trend che ha trovato la sua identità nell'acronimo NWOTHM. Cosa ne pensate?
E’ un’ottima cosa, soprattutto perché questo fenomeno ci ha permesso di scoprire band molto interessanti ed affini alle sonorità a noi più congeniali, e poi come gruppo ci ha permesso di scoprire un mondo fatto di appassionati di heavy metal classico e di reale supporto alle band. Siamo rimasti sorpresi, non ne sapevamo molto prima di esserne tirati dentro con il nostro demo, ma direi proprio che ci sentiamo pienamente dentro a questo trend.
Continua la lettura dell’intervista nella pagina della band, Rogue Deal.
Tag: musica metal nuova, heavy metal emergente, NWOTHM, Rogue Deal
2024-04-19
CRUEL LIFE INSIDE – Rabbia e Redenzione
Con l’uscita del primo album intitolato Eclipsis Vitae, i calabresi Cruel Life Inside ci accompagnano in un viaggio sofferto di redenzione e rinascita attraverso il loro Atmospheric/Post Black Metal di grandissima qualità. L’inserimento della loro Locrium nell’ultima puntata di Subterranea è stata una buona scusa per contattare la band e scoprire qualcosa di più sul loro lavoro. Alle mie domande ha risposto il mastermind del progetto Francesco Brisinda.
Il consiglio è sempre quello di stapparvi una bella birra gelata prima di immergervi in questa interessantissima intervista! Entra nella pagina dei Cruel Life Inside.
Il consiglio è sempre quello di stapparvi una bella birra gelata prima di immergervi in questa interessantissima intervista! Entra nella pagina dei Cruel Life Inside.
Tag: post metal, gruppi metal, emergenti, intervista, radio metal
2024-04-17
CRUEL LIFE INSIDE – Rabbia e Redenzione
Con l’uscita del primo album intitolato Eclipsis Vitae, i calabresi Cruel Life Inside ci accompagnano in un viaggio sofferto di redenzione e rinascita attraverso il loro Atmospheric/Post Black Metal di grandissima qualità. L’inserimento della loro Locrium nell’ultima puntata di Subterranea è stata una buona scusa per contattare la band e scoprire qualcosa di più sul loro lavoro. Alle mie domande ha risposto il mastermind del progetto Francesco Brisinda.
Il consiglio è sempre quello di stapparvi una bella birra gelata prima di immergervi in questa interessantissima intervista!
Il consiglio è sempre quello di stapparvi una bella birra gelata prima di immergervi in questa interessantissima intervista!
Tag: post metal, gruppi metal, emergenti, intervista, radio metal
2024-03-27
INSUBRIA – Il Canto Ancestrale di Antiche Terre
Mentre preparavo la tredicesima puntata di Subterranea mi sono imbattuto in una giovane band bergamasca che con il suo ultimo lavoro Harvest Moon mi ha conquistato già dal primo ascolto. Pubblicato l’episodio sul mio canale Radio Cereal Killer non ho perso tempo e ho contattato il gruppo per farmi raccontare qualcosa in più su questo interessantissimo progetto.
Quindi, come al solito, vi consiglio di stapparvi una bella birra gelata prima di immergervi nella chiacchierata fatta con gli Insubria.
Quindi, come al solito, vi consiglio di stapparvi una bella birra gelata prima di immergervi nella chiacchierata fatta con gli Insubria.
Tag: epic folk metal, gruppi metal, emergenti, intervista, radio metal
2024-03-16
La Profonda Oscurità del Black Metal
Mentre preparavo la quattordicesima puntata di Subterranea mi sono imbattuto in uno dei lavori più interessanti degli ultimi mesi, un album che mi ha entusiasmato già dal primo ascolto e che mi ha convinto a contattare il mastermind del progetto Iscuron per farmi raccontare qualcosa in più sul primo lavoro in studio The Nothing Has Defeated Atreyu uscito a gennaio di quest’anno (nda 2021).
Quindi non mi resta che invitarvi a stapparvi una bella birra gelata e a immergervi nella lettura nella pagina di Iscuron.
Quindi non mi resta che invitarvi a stapparvi una bella birra gelata e a immergervi nella lettura nella pagina di Iscuron.
Tag: black metal, intervista, Iscuron, gruppi metal
2024-03-13
DOWHANASH – Draco Metal Attack
Con l’uscita del primo EP From the Ashes, alcuni ex membri di Detestor e Antropofagus escono allo scoperto con un nuovo progetto sotto il moniker Dowhanash. Il sound estremamente massiccio condito con venature melodiche molto convincenti mi ha portato a parlare di questo interessantissimo lavoro nell’ultima puntata di Subterranea. Per l’occasione i membri del gruppo hanno accettato di rispondere a qualche domanda su questo progetto.
Stappatevi una birra e scoprite cosa mi hanno raccontato al riguardo.
Leggi l’intervista.
Stappatevi una birra e scoprite cosa mi hanno raccontato al riguardo.
Leggi l’intervista.
Tag: musica metal, death metal, intervista, draco metal, Dowhanash
2024-03-01
GOATFUCKER OVERLORD - Irreverent True Metal
È sempre emozionante quando tra gli ascolti quotidiani scopri gruppi che ti catturano già dal primo ascolto. Questo è esattamente quello che mi è successo con i Goatfucker Overlord e il loro “Heavy Metal Smegma Inferno”, demo che in quanto ad attitudine e cattiveria ha veramente pochi eguali nel panorama nazionale. Dopo averli inseriti nell’ultima puntata di Subterranea ho deciso di contattare i membri della band per avere qualche informazione in più sul loro interessantissimo progetto.
Quindi stappatevi una bella birra gelata e immergetevi in questa “particolare” chiacchierata.
Ciao ragazzi, benvenuti sulle pagine di StaiMusic e grazie per aver accettato l’intervista.
Per rompere il ghiaccio vi chiederei di raccontarci un po’ di voi e dell’idea dietro al progetto Goatfucker Overlord?
Ciao e grazie per averci invitato. Volevamo fare un gruppo con un nome stupido, l’idea per il nome ci è venuta una notte sull’autobus di ritorno dal concerto dei Necrophobic e l’ho voluto scrivere sul telefonino. Siccome ero ubriaco l’ho mandato per sbaglio a mia madre. Scusa mamma.
I demo della band, a mio avviso, hanno un sound e uno stile sicuramente molto personale e riconoscibile, come nasce una canzone dei Goatfucker Overlord e come lavorate per produrre i vostri album?
Dipende un po’ dagli ascolti del periodo. I primi due demo sono per lo più ispirati alla prima scena Speed Black (Bathory e Venom su tutti). Da “Heavy Metal Smegma Inferno” l’idea è stata di scrivere pezzi in stile Heavy Metal tradizionale con una voce ed una produzione più estrema. Le registrazioni e le produzioni sono interamente fatte in casa, con metodi più che discutibili, materiali decisamente scadenti ed un budget prefissato di 0 euro. Per “HMSI” non abbiamo manco cambiato le corde.
I testi sono un’altra delle tante cose che colpiscono nei vostri demo, la scelta di un linguaggio estremamente trash dà ai pezzi una genuinità che quello stereotipato del metal spesso fatica a dare. La domanda è: siete veramente così cazzoni o c’è qualcosa dietro?
Siamo anche peggio. L’atteggiamento iperserioso di tanti gruppi estremi ci risulta un po’ stantio e molto artificioso. Non dovendo rispondere a nessuno, preferiamo parlare di cazzi mosci e igiene discutibili piuttosto che indicibili riti occulti. Ci sentiamo più rappresentati. Abbiamo sempre ammirato gruppi come i Prophillax e gli Elio e le Storie Tese per la capacità di coniugare lo stile compositivo con un contenuto lirico più ironico ed è quello che cerchiamo di fare peggio.
Ad aprile di quest’anno siete usciti con il vostro terzo demo “Heavy Metal Smegma Inferno”. Di cosa parla l’album? Quale è stata la risposta del pubblico?
L’album è stato ispirato dallo stile di vita che scaturisce dalla quarantena: scarsi standard igienici e masturbazione compulsiva (brutto abitare insieme). La risposta del pubblico è stata sorprendentemente ed immeritevolmente positiva. Senza mai esserci promossi in alcun modo, quasi vergognandoci, abbiamo iniziato a ricevere richieste di interviste, passaggi in webradio da tutto il mondo, e promozione su canali youtube. Qualcuno ha anche ritenuto opportuno spendere i propri soldi sul nostro bandcamp, dove gli album sono scaricabili gratuitamente. Con i proventi abbiamo pagato una cassa di Peroni in offerta. Per passare il tempo ci piace cercare il peggio del porno che l’internet ha da offrire (da cui deriva anche l’intro di S.D.S.), il titolo è ispirato ad un video intitolato Ivanka Trump Smegma Inferno in cui ci siamo imbattuti. Googlatelo a vostro rischio e pericolo.
Durante il periodo di lockdown avete pubblicato un quarto demo, “Junkyard Classics” contiene quattro cover eccezionali che raccontano un po' delle vostre influenze. Quali sono i gruppi che vi hanno ispirato maggiormente?
L’idea di Junkyard Classics è di rendere tributo ai gruppi meno fortunati della scena degli anni ’80. Alcuni meritatamente, tipo i Thor. Ci sentiamo vicini alla loro situazione, e non vorremmo che questo cambiasse. Abbiamo scelto gruppi da diverse regioni geografiche, il Canada per i Thor, il Regno Unito per i Virtue e la Scandinavia per Heavy Load e Randy. A parte le ispirazioni più palesi (Iron Maiden, Mercyful Fate, Bathory e Venom) dobbiamo molto a progetti black/speed più recenti come Yellowgoat, Midnight, Abigali e Bewitched.
Continua la lettura dell’intervista nella pagina della band, Goatfucker Overlord.
Quindi stappatevi una bella birra gelata e immergetevi in questa “particolare” chiacchierata.
Ciao ragazzi, benvenuti sulle pagine di StaiMusic e grazie per aver accettato l’intervista.
Per rompere il ghiaccio vi chiederei di raccontarci un po’ di voi e dell’idea dietro al progetto Goatfucker Overlord?
Ciao e grazie per averci invitato. Volevamo fare un gruppo con un nome stupido, l’idea per il nome ci è venuta una notte sull’autobus di ritorno dal concerto dei Necrophobic e l’ho voluto scrivere sul telefonino. Siccome ero ubriaco l’ho mandato per sbaglio a mia madre. Scusa mamma.
I demo della band, a mio avviso, hanno un sound e uno stile sicuramente molto personale e riconoscibile, come nasce una canzone dei Goatfucker Overlord e come lavorate per produrre i vostri album?
Dipende un po’ dagli ascolti del periodo. I primi due demo sono per lo più ispirati alla prima scena Speed Black (Bathory e Venom su tutti). Da “Heavy Metal Smegma Inferno” l’idea è stata di scrivere pezzi in stile Heavy Metal tradizionale con una voce ed una produzione più estrema. Le registrazioni e le produzioni sono interamente fatte in casa, con metodi più che discutibili, materiali decisamente scadenti ed un budget prefissato di 0 euro. Per “HMSI” non abbiamo manco cambiato le corde.
I testi sono un’altra delle tante cose che colpiscono nei vostri demo, la scelta di un linguaggio estremamente trash dà ai pezzi una genuinità che quello stereotipato del metal spesso fatica a dare. La domanda è: siete veramente così cazzoni o c’è qualcosa dietro?
Siamo anche peggio. L’atteggiamento iperserioso di tanti gruppi estremi ci risulta un po’ stantio e molto artificioso. Non dovendo rispondere a nessuno, preferiamo parlare di cazzi mosci e igiene discutibili piuttosto che indicibili riti occulti. Ci sentiamo più rappresentati. Abbiamo sempre ammirato gruppi come i Prophillax e gli Elio e le Storie Tese per la capacità di coniugare lo stile compositivo con un contenuto lirico più ironico ed è quello che cerchiamo di fare peggio.
Ad aprile di quest’anno siete usciti con il vostro terzo demo “Heavy Metal Smegma Inferno”. Di cosa parla l’album? Quale è stata la risposta del pubblico?
L’album è stato ispirato dallo stile di vita che scaturisce dalla quarantena: scarsi standard igienici e masturbazione compulsiva (brutto abitare insieme). La risposta del pubblico è stata sorprendentemente ed immeritevolmente positiva. Senza mai esserci promossi in alcun modo, quasi vergognandoci, abbiamo iniziato a ricevere richieste di interviste, passaggi in webradio da tutto il mondo, e promozione su canali youtube. Qualcuno ha anche ritenuto opportuno spendere i propri soldi sul nostro bandcamp, dove gli album sono scaricabili gratuitamente. Con i proventi abbiamo pagato una cassa di Peroni in offerta. Per passare il tempo ci piace cercare il peggio del porno che l’internet ha da offrire (da cui deriva anche l’intro di S.D.S.), il titolo è ispirato ad un video intitolato Ivanka Trump Smegma Inferno in cui ci siamo imbattuti. Googlatelo a vostro rischio e pericolo.
Durante il periodo di lockdown avete pubblicato un quarto demo, “Junkyard Classics” contiene quattro cover eccezionali che raccontano un po' delle vostre influenze. Quali sono i gruppi che vi hanno ispirato maggiormente?
L’idea di Junkyard Classics è di rendere tributo ai gruppi meno fortunati della scena degli anni ’80. Alcuni meritatamente, tipo i Thor. Ci sentiamo vicini alla loro situazione, e non vorremmo che questo cambiasse. Abbiamo scelto gruppi da diverse regioni geografiche, il Canada per i Thor, il Regno Unito per i Virtue e la Scandinavia per Heavy Load e Randy. A parte le ispirazioni più palesi (Iron Maiden, Mercyful Fate, Bathory e Venom) dobbiamo molto a progetti black/speed più recenti come Yellowgoat, Midnight, Abigali e Bewitched.
Continua la lettura dell’intervista nella pagina della band, Goatfucker Overlord.
Tag: heavy metal, Goatfucker Overlord, intervista
2023-09-25
DEATHLESS LEGACY - Horror Metal Opera
Con l’uscita della loro Metal Opera “Saturnalia”, i Deathless Legacy ci consegnano un piccolo capolavoro crossmediale in cui i membri della band hanno riversato tutta la loro passione e talento artistico. Il risultato è un prodotto che spicca per qualità e grande originalità, dopo averne parlato nell’ultima puntata di Subterranea ho deciso di fare qualche domanda in più alla band su questo interessantissimo progetto.
Stappatevi una birra gelata e scoprite cosa mi hanno raccontato al riguardo.
Ciao ragazzi e benvenuti sulle pagine di StaiMusic! Partiamo dall’inizio.
I Deathless Legacy si formano nel 2006 come tribute band dei Death SS. Cosa vi lega alla musica del gruppo mitologico di Steve Sylvester & Co e come siete passati dall’essere una tribute band al comporre dischi originali?
I Death SS hanno rappresentato, per noi, la summa delle nostre più grandi passioni: metal, horror e occulto. Ci hanno ispirati a cercare il nostro percorso che si è rivelato sin da subito, infatti, sin dalla prima nostra data, abbiamo sempre proposto nostri brani originali e abbiamo lavorato alla creazione di una nostra identità che, via via, si è andata formando sempre più chiaramente.
Nel 2013 è uscito il vostro primo full-length “Rise from the Grave” e da allora ci sono stati altri tre album oltre all’ultima fatica “Saturnalia” di cui parleremo. Come è cambiato il sound della band attraverso questi lavori?
Si è evoluto in maniera naturale, seguendo il corso della nostra evoluzione sia personale che musicale. Il miglior modo per valutare e comprendere il cambiamento che c’è stato è paragonare l’ascolto tra “Rise From The Grave” e “Rituals of Black Magic”, piuttosto che con “Saturnalia”, che rappresenta un progetto completamente differente da tutti i nostri album precedenti.
Nel 2015, dopo aver vinto il Wacken Metal Battle Italy, vi siete esibirti su uno dei palchi più importanti d’Europa e non solo, e cioè quello del Wacken Open Air in Germania. Raccontateci di quell’esperienza.
Ancora oggi abbiamo i brividi al solo pensiero dell’impatto, dell’adrenalina e di tutte le emozioni che ci hanno travolti quando siamo saliti sul palco del Wacken. È stata un’esperienza estremamente formativa, abbiamo visto come lavorano i professionisti e a quali ritmi, con un’organizzazione semplicemente impeccabile.
A marzo di quest’anno è uscita quella che è a tutti gli effetti una vera e propria rock opera dal titolo “Saturnalia”, lavoro che personalmente trovo molto coraggioso e altrettanto interessante. Come siete arrivati a questo prodotto artistico?
Avevamo questa idea in mente da un po’ di tempo, ci mancava solo un’idea e una storia che ci permettesse di svilupparla e darle vita. E quella storia, alla fine, è arrivata .
Come è andata quando avete proposto l’idea alla Scarlet Records, etichetta che vi segue dal vostro secondo album?
Con Scarlet Records abbiamo uno splendido rapporto di totale libertà artistica, per questo la nostra folle idea è stata accolta sin da subito con grande entusiasmo.
Come si affronta, a livello compositivo, un’opera complessa come questa? Che differenze avete trovato rispetto al lavoro fatto sui precedenti dischi?
La composizione musicale è andata di pari passo con la composizione del testo, in modo da mettere in risalto emozioni, punti salienti e l’atmosfera che ogni situazione richiedeva. Abbiamo sempre lavorato seguendo questa linea, ma solitamente il testo è sempre nato sulla base musicale, questa volta, vista la complessità della storia e dell’attenzione che lo storytelling in sé richiedeva, i due aspetti si sono completamente amalgamati.
Raccontateci qualcosa sul concept di “Saturnalia”.
“Saturnalia” è la storia di uno schiavo romano, Lucius, costretto a subire gli abusi e i soprusi di un padrone tiranno, Tullius, avido di potere e di denaro, in un’Antica Roma occulta ed esoterica. È la storia di un cammino spirituale che lo schiavo si trova a vivere una volta toccato il fondo della disperazione, fatto di dolore, solitudine e fuoco.
Continua la lettura dell’intervista nella pagina della band, Deathless Legacy.
Stappatevi una birra gelata e scoprite cosa mi hanno raccontato al riguardo.
Ciao ragazzi e benvenuti sulle pagine di StaiMusic! Partiamo dall’inizio.
I Deathless Legacy si formano nel 2006 come tribute band dei Death SS. Cosa vi lega alla musica del gruppo mitologico di Steve Sylvester & Co e come siete passati dall’essere una tribute band al comporre dischi originali?
I Death SS hanno rappresentato, per noi, la summa delle nostre più grandi passioni: metal, horror e occulto. Ci hanno ispirati a cercare il nostro percorso che si è rivelato sin da subito, infatti, sin dalla prima nostra data, abbiamo sempre proposto nostri brani originali e abbiamo lavorato alla creazione di una nostra identità che, via via, si è andata formando sempre più chiaramente.
Nel 2013 è uscito il vostro primo full-length “Rise from the Grave” e da allora ci sono stati altri tre album oltre all’ultima fatica “Saturnalia” di cui parleremo. Come è cambiato il sound della band attraverso questi lavori?
Si è evoluto in maniera naturale, seguendo il corso della nostra evoluzione sia personale che musicale. Il miglior modo per valutare e comprendere il cambiamento che c’è stato è paragonare l’ascolto tra “Rise From The Grave” e “Rituals of Black Magic”, piuttosto che con “Saturnalia”, che rappresenta un progetto completamente differente da tutti i nostri album precedenti.
Nel 2015, dopo aver vinto il Wacken Metal Battle Italy, vi siete esibirti su uno dei palchi più importanti d’Europa e non solo, e cioè quello del Wacken Open Air in Germania. Raccontateci di quell’esperienza.
Ancora oggi abbiamo i brividi al solo pensiero dell’impatto, dell’adrenalina e di tutte le emozioni che ci hanno travolti quando siamo saliti sul palco del Wacken. È stata un’esperienza estremamente formativa, abbiamo visto come lavorano i professionisti e a quali ritmi, con un’organizzazione semplicemente impeccabile.
A marzo di quest’anno è uscita quella che è a tutti gli effetti una vera e propria rock opera dal titolo “Saturnalia”, lavoro che personalmente trovo molto coraggioso e altrettanto interessante. Come siete arrivati a questo prodotto artistico?
Avevamo questa idea in mente da un po’ di tempo, ci mancava solo un’idea e una storia che ci permettesse di svilupparla e darle vita. E quella storia, alla fine, è arrivata .
Come è andata quando avete proposto l’idea alla Scarlet Records, etichetta che vi segue dal vostro secondo album?
Con Scarlet Records abbiamo uno splendido rapporto di totale libertà artistica, per questo la nostra folle idea è stata accolta sin da subito con grande entusiasmo.
Come si affronta, a livello compositivo, un’opera complessa come questa? Che differenze avete trovato rispetto al lavoro fatto sui precedenti dischi?
La composizione musicale è andata di pari passo con la composizione del testo, in modo da mettere in risalto emozioni, punti salienti e l’atmosfera che ogni situazione richiedeva. Abbiamo sempre lavorato seguendo questa linea, ma solitamente il testo è sempre nato sulla base musicale, questa volta, vista la complessità della storia e dell’attenzione che lo storytelling in sé richiedeva, i due aspetti si sono completamente amalgamati.
Raccontateci qualcosa sul concept di “Saturnalia”.
“Saturnalia” è la storia di uno schiavo romano, Lucius, costretto a subire gli abusi e i soprusi di un padrone tiranno, Tullius, avido di potere e di denaro, in un’Antica Roma occulta ed esoterica. È la storia di un cammino spirituale che lo schiavo si trova a vivere una volta toccato il fondo della disperazione, fatto di dolore, solitudine e fuoco.
Continua la lettura dell’intervista nella pagina della band, Deathless Legacy.
Tag: heavy metal, DEATHLESS LEGACY, NWOBHM, intervista
2023-08-04
WOWS – Distruzione e Rinascita
“Ver Sacrum” degli WOWS è sicuramente uno dei lavori più notevoli usciti in questo travagliato 2020. Un album importante, intenso e soprattutto carico di personalità, che lo rende, a mio avviso, imprescindibile nelle collezioni di metallari e non. Dopo averne parlato nell’ultima puntata di Subterranea ho deciso di contattare la band per farmi raccontare qualcosa di più sul loro interessantissimo progetto.
Il consiglio è sempre lo stesso: stappatevi una birra gelata e immergetevi nella lettura.
Ciao ragazzi e benvenuti sulle pagine di StaiMusic.
Per rompere il ghiaccio partirei con una curiosità personale, da dove arriva il nome WOWS?
Ciao ragazzi, grazie mille della possibilità di parlare di noi! WOWS ha assunto molti significati negli anni, di base a noi piace il suono della parola, abbiamo anche scoperto che WOWS è un controllo che esisteva sui vecchi delay a nastro.
La band si forma nel 2009 come progetto Indie Rock ma già con il secondo album “Aion” si ha un importante virata verso sonorità più pesanti. Qual è stato il percorso che vi ha portati a questo cambiamento?
Consideriamo i due periodi come due progetti separati, nel 2014 è entrato nei ranghi Kevin Follet, da lì la nostra musica ha abbandonato la forma precedente per arrivare alla sua forma definitiva in AION che di fatto consideriamo primo disco del progetto WOWS, prima invece la band era chiamata The Wows. Il percorso artistico è semplicemente una crescita nostra personale oltre che artistica, abbiamo negli anni scoperto band che ci hanno aperto gli occhi sulla possibilità espressiva dei generi più heavy, cosa che con l’Indie Rock non era possibile fare. Gruppi come i Melvins ma anche i Cult of Luna, gli Amenra e i Neurosis ci hanno indirizzato sulla strada che sentiamo davvero nostra e che ci soddisfa a pieno.
Ad aprile di quest’anno (nda 2020) è uscito l’ultimo full length “Ver Sacrum” che dimostra un ulteriore passo avanti nella vostra ricerca. Qual è stata la genesi dell’album?
Abbiamo composto Ver Sacrum in quattro anni o forse più, è al momento il nostro lavoro più ambizioso ed elaborato. Più che la genesi è stato il processo di composizione che è stato lungo e faticoso, abbiamo voluto andare oltre i nostri confini ed esplorare nuovi territori sonici, il risultato ci ha dato una grande soddisfazione e vi ringraziamo di cuore per averlo notato.
Qual è il concept dietro al disco?
Ver Sacrum è un percorso, un rituale che va dalla distruzione al vuoto fino alla rinascita. Si inizia da Elysium, intro sospeso e arioso, come un limbo di inquietudine che sfocia subito nella distruzione più efferata con Mythras, poi Vacuum raccoglie i cocci della distruzione appena avvenuta e descrive il nulla, fino ad arrivare alla seconda parte del disco dove descriviamo la lenta rinascita con Lux Aeterna fino alla finale Resurrecturis, la definitiva riconquista della vita, riconquista che però è destinata a rientrare nel ciclo infinito di distruzione e rinascita, proprio di questo mondo in cui ci troviamo.
Come appena descritto, l’ascolto di “Ver Sacrum” è un vero e proprio viaggio oscuro attraverso i quasi quarantaquattro minuti dipanati nelle cinque tracce dell’album, cosa volevate ottenere con quest’opera?
L’obiettivo è quello di estraniare l’ascoltatore dai suoi pensieri quotidiani, sollevare il peso dell’esistenza e dimenticarsi di essere confinato nella carne di un corpo fisico. Ricordarsi di essere spirito ed essenza pura a volte può far bene e può aiutare a superare problemi che sembrano insormontabili ma confrontati con l’immensità della natura e l’eternità dello spirito, si riducono ad irrisorie piccolezze.
Mythras è la traccia sicuramente più aggressiva di tutto il lavoro, perché avete scelto questo pezzo come primo singolo?
Abbiamo scelto il pezzo secondo noi più d’impatto per iniziare a far conoscere Ver Sacrum. Mythras è il primo pezzo con chiare influenze Black Metal, genere da cui attingiamo tanto soprattutto per le atmosfere; inoltre Mythras rappresenta poi il primo passo del percorso del disco, cioè la distruzione.
Per la canzone è stato prodotto anche un bellissimo video in un bianco e nero che dona un tono ancor più disperato al pezzo, parlateci di questa produzione.
Il video è un lavoro di Elide Blind. Noi abbiamo lasciato carta bianca alla video maker perché la conosciamo e ci fidiamo del suo gusto. Lei è specializzata in immagini analogiche e per noi ha creato un immaginario veramente azzeccato. È uscito un video alla Blair Witch Project, ansiotico, disturbante, perfetto per il pezzo, ci piace tantissimo!
Continua la lettura dell’intervista nella pagina della band, WOWS.
Il consiglio è sempre lo stesso: stappatevi una birra gelata e immergetevi nella lettura.
Ciao ragazzi e benvenuti sulle pagine di StaiMusic.
Per rompere il ghiaccio partirei con una curiosità personale, da dove arriva il nome WOWS?
Ciao ragazzi, grazie mille della possibilità di parlare di noi! WOWS ha assunto molti significati negli anni, di base a noi piace il suono della parola, abbiamo anche scoperto che WOWS è un controllo che esisteva sui vecchi delay a nastro.
La band si forma nel 2009 come progetto Indie Rock ma già con il secondo album “Aion” si ha un importante virata verso sonorità più pesanti. Qual è stato il percorso che vi ha portati a questo cambiamento?
Consideriamo i due periodi come due progetti separati, nel 2014 è entrato nei ranghi Kevin Follet, da lì la nostra musica ha abbandonato la forma precedente per arrivare alla sua forma definitiva in AION che di fatto consideriamo primo disco del progetto WOWS, prima invece la band era chiamata The Wows. Il percorso artistico è semplicemente una crescita nostra personale oltre che artistica, abbiamo negli anni scoperto band che ci hanno aperto gli occhi sulla possibilità espressiva dei generi più heavy, cosa che con l’Indie Rock non era possibile fare. Gruppi come i Melvins ma anche i Cult of Luna, gli Amenra e i Neurosis ci hanno indirizzato sulla strada che sentiamo davvero nostra e che ci soddisfa a pieno.
Ad aprile di quest’anno (nda 2020) è uscito l’ultimo full length “Ver Sacrum” che dimostra un ulteriore passo avanti nella vostra ricerca. Qual è stata la genesi dell’album?
Abbiamo composto Ver Sacrum in quattro anni o forse più, è al momento il nostro lavoro più ambizioso ed elaborato. Più che la genesi è stato il processo di composizione che è stato lungo e faticoso, abbiamo voluto andare oltre i nostri confini ed esplorare nuovi territori sonici, il risultato ci ha dato una grande soddisfazione e vi ringraziamo di cuore per averlo notato.
Qual è il concept dietro al disco?
Ver Sacrum è un percorso, un rituale che va dalla distruzione al vuoto fino alla rinascita. Si inizia da Elysium, intro sospeso e arioso, come un limbo di inquietudine che sfocia subito nella distruzione più efferata con Mythras, poi Vacuum raccoglie i cocci della distruzione appena avvenuta e descrive il nulla, fino ad arrivare alla seconda parte del disco dove descriviamo la lenta rinascita con Lux Aeterna fino alla finale Resurrecturis, la definitiva riconquista della vita, riconquista che però è destinata a rientrare nel ciclo infinito di distruzione e rinascita, proprio di questo mondo in cui ci troviamo.
Come appena descritto, l’ascolto di “Ver Sacrum” è un vero e proprio viaggio oscuro attraverso i quasi quarantaquattro minuti dipanati nelle cinque tracce dell’album, cosa volevate ottenere con quest’opera?
L’obiettivo è quello di estraniare l’ascoltatore dai suoi pensieri quotidiani, sollevare il peso dell’esistenza e dimenticarsi di essere confinato nella carne di un corpo fisico. Ricordarsi di essere spirito ed essenza pura a volte può far bene e può aiutare a superare problemi che sembrano insormontabili ma confrontati con l’immensità della natura e l’eternità dello spirito, si riducono ad irrisorie piccolezze.
Mythras è la traccia sicuramente più aggressiva di tutto il lavoro, perché avete scelto questo pezzo come primo singolo?
Abbiamo scelto il pezzo secondo noi più d’impatto per iniziare a far conoscere Ver Sacrum. Mythras è il primo pezzo con chiare influenze Black Metal, genere da cui attingiamo tanto soprattutto per le atmosfere; inoltre Mythras rappresenta poi il primo passo del percorso del disco, cioè la distruzione.
Per la canzone è stato prodotto anche un bellissimo video in un bianco e nero che dona un tono ancor più disperato al pezzo, parlateci di questa produzione.
Il video è un lavoro di Elide Blind. Noi abbiamo lasciato carta bianca alla video maker perché la conosciamo e ci fidiamo del suo gusto. Lei è specializzata in immagini analogiche e per noi ha creato un immaginario veramente azzeccato. È uscito un video alla Blair Witch Project, ansiotico, disturbante, perfetto per il pezzo, ci piace tantissimo!
Continua la lettura dell’intervista nella pagina della band, WOWS.
Tag: heavy metal, WOWS, NWOBHM, intervista
2023-08-02
FORGOTTEN TOMB – Black Rock Nichilista
L’uscita di “Nihilistic Estrangement”, ultimo lavoro in studio dei Forgotten Tomb, mi ha dato l’occasione di parlare di questa importante band nell’ultimo episodio di Subterranea. Il nuovo full length ha dimostrato ancora una volta come i FT riescano ad essere sempre innovativi rimanendo comunque fedeli alla loro idea di musica estrema. Nella seguente intervista il leader del gruppo Herr Morbid ci racconta qualcosa di più sul nuovo album e non solo.
Quindi, stappatevi una bella birra e buona lettura!
Diamo il benvenuto sulle pagine di StaiMusic a Herr Morbid, cantante e chitarrista nonché fondatore di una delle band più influenti della scena metal italiana.
I Forgotten Tomb si sono formati nel 1999 e da allora sono passati più di vent’anni, come è cambiata la scena estrema in tutto questo tempo?
È cambiata molto; io ancora prima di FT cantavo e suonavo in altre demo-band fin dalla metà degli anni ’90 quindi ero dentro a tutto il sistema del tape-trading, delle lettere, delle fanzine, delle distro, dei concerti organizzati per telefono e via dicendo, in pratica quel che si faceva prima che Internet diventasse alla portata di tutti. Dal ‘99/’00 ho cominciato a usare Internet per facilitare le cose ma a parte le email e i primi primitivi siti web c’era ben poco quindi le cose non erano tanto diverse dalla seconda metà dei ’90. Il P2P, l’ADSL e YouTube sono stati i primi grandi cambiamenti tecnologici che per forza di cose hanno cambiato anche la scena, rendendola più accessibile a molta più gente e quindi privandola anche di quell’aura “mistica” che aveva prima, specialmente nell’ambito del metal estremo. Tutto si è fondamentalmente spostato sul web. Da lì in poi le cose non sono cambiate molto se non con l’avvento dello streaming, che a mio avviso ha ulteriormente peggiorato le cose e ha determinato un crollo delle vendite per tutti. Il paradosso è che in realtà l’attenzione del pubblico è diminuita, sia come affluenza ai concerti che come ascolto dei dischi, perché ci sono troppe cose (spesso inutili) e Internet ha dato spazio a chiunque, oltre a rendere pigra la gente, ma è un discorso molto lungo che meriterebbe un’intervista a parte. A livello strettamente musicale, penso che indicativamente dopo il 2004 la musica metal non si sia più rinnovata e le poche “novità” sarebbe stato meglio se non fossero mai esistite, ormai se ne vedono veramente di tutti i colori da un lato e dall’altro ci sono solo dei revival di cose fatte prima e meglio (nei ’90 e primi ’00). È diventata una lotta tra poveri dove la popolarità e “l’hype” sono decretati dalle visualizzazioni su YouTube e dove l’immagine e il modo in cui viene proposto un prodotto è più importante del talento o della sincerità. Vedo tantissime band, giovani e non, che seguono solo dei trend e dei cliché consolidati con l’unico obiettivo di diventare “famosi”. È un po’ lo stesso concetto dello sport, coi ragazzini che iniziano a fare i calciatori per arrivare ad avere un certo tenore di vita invece che per passione, che dovrebbe essere la prima cosa. La società è cambiata e con lei anche l’arte, è un’epoca di decadenza. Ci sono state anche “intrusioni” nella scena da parte di persone che di base non c’entrano nulla con il metal e che hanno causato solo derive moralistiche e una sorta di “censura” che una volta sarebbe stata inaccettabile. La scena odierna è tristemente inoffensiva, nella maggior parte dei casi è fondamentalmente una mascherata. Chiaro che chi è cresciuto con le band di questi anni la penserà diversamente, perché se non sei passato attraverso gli anni ’90 è una cosa difficile da capire. In generale non capisco l’hype per molte delle cose che vanno per la maggiore oggigiorno ma forse sto solo diventando vecchio, chissà. Mi verrebbe da usare il classico “si stava meglio quando si stava peggio”.
Nel 2002 è uscito “Songs to Leave”, album considerato uno delle pietre fondanti del Depressive Black Metal, come consideri oggi quell’album? Faresti qualcosa di diverso col senno di poi?
È un disco che ha un’importanza storica riconosciuta per quel tipo di sottogenere quindi non posso che esserne orgoglioso, anche se ho sempre preferito i due successivi (che comunque godono di quasi eguale fama). All’epoca FT era una one-man band e non ero in grado di suonare la batteria per cui ho usato una drum-machine che per quanto curata piuttosto bene rimane un po’ asettica. I brani risentivano di alcune delle mie influenze giovanili ma sono comunque soddisfatto di come avevo mischiato le diverse influenze, creando qualcosa di abbastanza originale per un’epoca in cui comunque la maggior parte del Black Metal era ancora ancorato ad altri temi e sonorità e il Doom era totalmente impopolare, rispetto ad oggi dove è addirittura uno dei generi più gettonati. L’immagine e l’attitudine erano anche totalmente diversi dalla maggior parte del Black Metal dell’epoca. Non mi piacciono la maggior parte dei testi, tornando indietro li riscriverei completamente ma erano chiaramente il risultato di alcune ingenuità giovanili. L’album è stato scritto quasi interamente tra il ’99 e il 2000 ed era pronto a metà del 2001, infatti giravano alcuni promo già in quell’anno, ma tra la firma del primo contratto con Selbstmord Services e l’uscita del disco è passato un anno esatto ed è quindi uscito nell’estate 2002. Se fosse uscito nel 2001 come mi ero auspicato avrebbe forse avuto un impatto ancora maggiore. È comunque un disco legato a tanti ricordi e a un periodo a suo modo irripetibile.
I Forgotten Tomb si possono considerare a tutti gli effetti una vera e propria band di culto, come percepisci questa cosa?
Mi fa piacere più che altro che si riconosca l’importanza della band nella definizione di un intero sottogenere, dato che oggi esistono migliaia di band nate sulla scia di FT e addirittura è stato creato l’acronimo “DSBM” per definire un intero movimento che all’epoca non esisteva assolutamente, c’erano 4 o 5 band insieme a noi a suonare in un certo modo e ad avere certe tematiche, e comunque erano tutte diverse tra loro. La memoria storica è importante. In tutta franchezza però non avrei voluto che nascesse un’intera sottoscena perché come sempre quando troppe persone s’impossessano di qualcosa che hai creato, o di un particolare concetto/immagine, generalmente negli anni viene stravolto e fondamentalmente reso un cliché ridicolo, che infatti è quel che è successo. D’altro canto gli artisti Black Metal dei primi ’90 penseranno la stessa cosa delle band venute dopo di loro, è inevitabile. Ho preso le distanze da quel che chiamano “DSBM” in tempi non sospetti, attorno al 2005, proprio perché avevo fiutato che sarebbe diventato un trend ridicolo e che c’era bisogno di un rinnovamento. L’album “Negative Megalomania”, uscito a inizio 2007, era stato una risposta a una scena che già non mi apparteneva più.
Come si è evoluto il sound della band da quel primo EP “Obscura Arcana Mortis” ad oggi, attraverso i dieci album pubblicati?
“Obscura Arcana Mortis” era fondamentalmente un demo e includeva materiale originariamente scritto per la mia band precedente, quindi non fa molto testo; l’avevo fatto uscire più che altro per spargere la voce che avevo un nuovo progetto ma non avevo ancora le idee ben chiare sul futuro, inoltre anche quello sarebbe dovuto uscire nel ’99 ma a causa di alcuni problemi uscì nel 2000 quando già pensavo di fare altre cose. “Songs to Leave” è quindi il primo lavoro effettivo di FT. Detto questo, la band è ovviamente cambiata molto in 21 anni però ritengo che la base dello stile elaborato nei nostri primi 3 dischi “classici” sia ancora presente, seppur filtrata dalla sensibilità attuale e dall’esperienza. FT è sempre stata una band in evoluzione, sebbene sia consapevole che l’evoluzione nel metal sia vista generalmente male, perché tutti vorrebbero che una band suonasse sempre come i primi dischi. È una cosa che è capitata anche a me con molte band che ascolto quindi posso capirla ma dal punto di vista di un musicista continuare a ripetersi è spesso una costrizione e i cambiamenti a volte – come nel mio caso – sono motivati anche da un’onestà intellettuale e dalla necessità di tracciare delle linee di demarcazione rispetto ad aspetti di una scena che non ti appartengono più, come spiegavo nella domanda precedente. Nei vari stadi di evoluzione della band c’è sempre stata una necessità artistica e attitudinale; in ogni caso paragonando la nostra discografia a tante band metal blasonate ci si può rendere conto che non abbiamo fatto dei cambiamenti così drastici in 20 anni e in un nostro concerto i brani dei primi dischi stanno benissimo anche assieme a quelli degli ultimi. Negli anni le strutture dei pezzi si sono arricchite di varie influenze dai generi più disparati, con arrangiamenti più elaborati, una tecnica migliore e una costante ricerca di soluzioni meno scontate e diteggiature spesso inusuali; anche le linee vocali e i testi sono più curati e per la produzione abbiamo sempre cercato di migliorarci e provare cose diverse. Se la base di partenza è sempre la stessa, ho cercato di esplorare tutte le sfaccettature di un sound e di uno stile e se possibile di espandere le barriere di quello che è lo standard, rischiando critiche ad ogni disco. D’altro canto quello che poteva essere innovativo o inusuale 20 anni fa ora non lo sarebbe più, quindi non avrebbe senso continuare a usare certe strutture e certi accordi che ormai sono stati imitati (più o meno male) da mille altre band.
Come sei maturato come artista?
Domanda difficile, forse dovrebbero dirmelo gli altri… Credo di essere diventato più sobrio nell’esporre certi concetti, pur mantenendo idee estreme, e ho imparato a non fare alcuni errori di comunicazione o d’immagine, o almeno spero! Diciamo che ora mantengo molto di più l’enfasi sull’aspetto strettamente musicale e cerco di comportarmi da professionista nei limiti del possibile. Come musicista, forse sono migliorato tecnicamente e ho più nozioni tecniche anche a livello di registrazione o live, so quello che voglio ottenere e come ottenerlo.
A maggio (nda 2020) avete pubblicato “Nihilistic Estrangement” e, come dicevo, anche in quest’ultima uscita avete dimostrato grande coraggio e coerenza nella continua ricerca di nuove frontiere per il vostro sound. Come siete arrivati a questo bellissimo full length e cosa vi ha ispirato a livello musicale?
Il disco precedente aveva molti strati e arrangiamenti e suonava piuttosto complesso mentre a questo giro abbiamo lasciato da parte gli arzigogoli in favore di un sound più scarno ed essenziale. In questo senso forse può risultare più “crudo” ma è un disco un po’ più melodico rispetto ai due precedenti e maggiormente basato sulle atmosfere; al tempo stesso ha anche diversi riferimenti al blues, alla musica Southern e all’Hard Rock, così come al dark anni ’80, “mascherati” attraverso un feeling più Black Metal rispetto alle ultime produzioni che invece erano più pesanti e con alcune influenze Sludge più marcate. Gli elementi nella nostra musica sono sempre stati un’unione di tutte queste cose, specialmente da “Negative Megalomania” in poi, ma a seconda dell’ispirazione alcuni album tendono più da una parte e altri da un’altra. Mi piace definirlo “Black Rock” invece che “Black Metal”; l’unica traccia veramente retrò e Black Metal anni ’90 è l’ultima, “RBMK”, che è senza dubbio uno dei brani più estremi che abbiamo mai scritto ma al tempo stesso ha un mood molto sinistro e degli arrangiamenti inusuali. Nel complesso il disco per me è una buona unione di tutte le varie esplorazioni del nostro sound attraverso gli anni, riviste in un’ottica ulteriormente nuova; la title-track ad esempio è un brano molto diverso da qualunque cosa fatta in precedenza, “Distrust3” ha un’intera parte blues centrale rivisitata in chiave “grim”, “Iris House Pt.I” si basa su una slide-guitar e su lick blues e anche gli altri brani possiedono alcuni di questi elementi ed altre soluzioni che trovo piuttosto inusuali e interessanti.
Continua la lettura dell’intervista nella pagina della band, Forgotten Tomb.
Quindi, stappatevi una bella birra e buona lettura!
Diamo il benvenuto sulle pagine di StaiMusic a Herr Morbid, cantante e chitarrista nonché fondatore di una delle band più influenti della scena metal italiana.
I Forgotten Tomb si sono formati nel 1999 e da allora sono passati più di vent’anni, come è cambiata la scena estrema in tutto questo tempo?
È cambiata molto; io ancora prima di FT cantavo e suonavo in altre demo-band fin dalla metà degli anni ’90 quindi ero dentro a tutto il sistema del tape-trading, delle lettere, delle fanzine, delle distro, dei concerti organizzati per telefono e via dicendo, in pratica quel che si faceva prima che Internet diventasse alla portata di tutti. Dal ‘99/’00 ho cominciato a usare Internet per facilitare le cose ma a parte le email e i primi primitivi siti web c’era ben poco quindi le cose non erano tanto diverse dalla seconda metà dei ’90. Il P2P, l’ADSL e YouTube sono stati i primi grandi cambiamenti tecnologici che per forza di cose hanno cambiato anche la scena, rendendola più accessibile a molta più gente e quindi privandola anche di quell’aura “mistica” che aveva prima, specialmente nell’ambito del metal estremo. Tutto si è fondamentalmente spostato sul web. Da lì in poi le cose non sono cambiate molto se non con l’avvento dello streaming, che a mio avviso ha ulteriormente peggiorato le cose e ha determinato un crollo delle vendite per tutti. Il paradosso è che in realtà l’attenzione del pubblico è diminuita, sia come affluenza ai concerti che come ascolto dei dischi, perché ci sono troppe cose (spesso inutili) e Internet ha dato spazio a chiunque, oltre a rendere pigra la gente, ma è un discorso molto lungo che meriterebbe un’intervista a parte. A livello strettamente musicale, penso che indicativamente dopo il 2004 la musica metal non si sia più rinnovata e le poche “novità” sarebbe stato meglio se non fossero mai esistite, ormai se ne vedono veramente di tutti i colori da un lato e dall’altro ci sono solo dei revival di cose fatte prima e meglio (nei ’90 e primi ’00). È diventata una lotta tra poveri dove la popolarità e “l’hype” sono decretati dalle visualizzazioni su YouTube e dove l’immagine e il modo in cui viene proposto un prodotto è più importante del talento o della sincerità. Vedo tantissime band, giovani e non, che seguono solo dei trend e dei cliché consolidati con l’unico obiettivo di diventare “famosi”. È un po’ lo stesso concetto dello sport, coi ragazzini che iniziano a fare i calciatori per arrivare ad avere un certo tenore di vita invece che per passione, che dovrebbe essere la prima cosa. La società è cambiata e con lei anche l’arte, è un’epoca di decadenza. Ci sono state anche “intrusioni” nella scena da parte di persone che di base non c’entrano nulla con il metal e che hanno causato solo derive moralistiche e una sorta di “censura” che una volta sarebbe stata inaccettabile. La scena odierna è tristemente inoffensiva, nella maggior parte dei casi è fondamentalmente una mascherata. Chiaro che chi è cresciuto con le band di questi anni la penserà diversamente, perché se non sei passato attraverso gli anni ’90 è una cosa difficile da capire. In generale non capisco l’hype per molte delle cose che vanno per la maggiore oggigiorno ma forse sto solo diventando vecchio, chissà. Mi verrebbe da usare il classico “si stava meglio quando si stava peggio”.
Nel 2002 è uscito “Songs to Leave”, album considerato uno delle pietre fondanti del Depressive Black Metal, come consideri oggi quell’album? Faresti qualcosa di diverso col senno di poi?
È un disco che ha un’importanza storica riconosciuta per quel tipo di sottogenere quindi non posso che esserne orgoglioso, anche se ho sempre preferito i due successivi (che comunque godono di quasi eguale fama). All’epoca FT era una one-man band e non ero in grado di suonare la batteria per cui ho usato una drum-machine che per quanto curata piuttosto bene rimane un po’ asettica. I brani risentivano di alcune delle mie influenze giovanili ma sono comunque soddisfatto di come avevo mischiato le diverse influenze, creando qualcosa di abbastanza originale per un’epoca in cui comunque la maggior parte del Black Metal era ancora ancorato ad altri temi e sonorità e il Doom era totalmente impopolare, rispetto ad oggi dove è addirittura uno dei generi più gettonati. L’immagine e l’attitudine erano anche totalmente diversi dalla maggior parte del Black Metal dell’epoca. Non mi piacciono la maggior parte dei testi, tornando indietro li riscriverei completamente ma erano chiaramente il risultato di alcune ingenuità giovanili. L’album è stato scritto quasi interamente tra il ’99 e il 2000 ed era pronto a metà del 2001, infatti giravano alcuni promo già in quell’anno, ma tra la firma del primo contratto con Selbstmord Services e l’uscita del disco è passato un anno esatto ed è quindi uscito nell’estate 2002. Se fosse uscito nel 2001 come mi ero auspicato avrebbe forse avuto un impatto ancora maggiore. È comunque un disco legato a tanti ricordi e a un periodo a suo modo irripetibile.
I Forgotten Tomb si possono considerare a tutti gli effetti una vera e propria band di culto, come percepisci questa cosa?
Mi fa piacere più che altro che si riconosca l’importanza della band nella definizione di un intero sottogenere, dato che oggi esistono migliaia di band nate sulla scia di FT e addirittura è stato creato l’acronimo “DSBM” per definire un intero movimento che all’epoca non esisteva assolutamente, c’erano 4 o 5 band insieme a noi a suonare in un certo modo e ad avere certe tematiche, e comunque erano tutte diverse tra loro. La memoria storica è importante. In tutta franchezza però non avrei voluto che nascesse un’intera sottoscena perché come sempre quando troppe persone s’impossessano di qualcosa che hai creato, o di un particolare concetto/immagine, generalmente negli anni viene stravolto e fondamentalmente reso un cliché ridicolo, che infatti è quel che è successo. D’altro canto gli artisti Black Metal dei primi ’90 penseranno la stessa cosa delle band venute dopo di loro, è inevitabile. Ho preso le distanze da quel che chiamano “DSBM” in tempi non sospetti, attorno al 2005, proprio perché avevo fiutato che sarebbe diventato un trend ridicolo e che c’era bisogno di un rinnovamento. L’album “Negative Megalomania”, uscito a inizio 2007, era stato una risposta a una scena che già non mi apparteneva più.
Come si è evoluto il sound della band da quel primo EP “Obscura Arcana Mortis” ad oggi, attraverso i dieci album pubblicati?
“Obscura Arcana Mortis” era fondamentalmente un demo e includeva materiale originariamente scritto per la mia band precedente, quindi non fa molto testo; l’avevo fatto uscire più che altro per spargere la voce che avevo un nuovo progetto ma non avevo ancora le idee ben chiare sul futuro, inoltre anche quello sarebbe dovuto uscire nel ’99 ma a causa di alcuni problemi uscì nel 2000 quando già pensavo di fare altre cose. “Songs to Leave” è quindi il primo lavoro effettivo di FT. Detto questo, la band è ovviamente cambiata molto in 21 anni però ritengo che la base dello stile elaborato nei nostri primi 3 dischi “classici” sia ancora presente, seppur filtrata dalla sensibilità attuale e dall’esperienza. FT è sempre stata una band in evoluzione, sebbene sia consapevole che l’evoluzione nel metal sia vista generalmente male, perché tutti vorrebbero che una band suonasse sempre come i primi dischi. È una cosa che è capitata anche a me con molte band che ascolto quindi posso capirla ma dal punto di vista di un musicista continuare a ripetersi è spesso una costrizione e i cambiamenti a volte – come nel mio caso – sono motivati anche da un’onestà intellettuale e dalla necessità di tracciare delle linee di demarcazione rispetto ad aspetti di una scena che non ti appartengono più, come spiegavo nella domanda precedente. Nei vari stadi di evoluzione della band c’è sempre stata una necessità artistica e attitudinale; in ogni caso paragonando la nostra discografia a tante band metal blasonate ci si può rendere conto che non abbiamo fatto dei cambiamenti così drastici in 20 anni e in un nostro concerto i brani dei primi dischi stanno benissimo anche assieme a quelli degli ultimi. Negli anni le strutture dei pezzi si sono arricchite di varie influenze dai generi più disparati, con arrangiamenti più elaborati, una tecnica migliore e una costante ricerca di soluzioni meno scontate e diteggiature spesso inusuali; anche le linee vocali e i testi sono più curati e per la produzione abbiamo sempre cercato di migliorarci e provare cose diverse. Se la base di partenza è sempre la stessa, ho cercato di esplorare tutte le sfaccettature di un sound e di uno stile e se possibile di espandere le barriere di quello che è lo standard, rischiando critiche ad ogni disco. D’altro canto quello che poteva essere innovativo o inusuale 20 anni fa ora non lo sarebbe più, quindi non avrebbe senso continuare a usare certe strutture e certi accordi che ormai sono stati imitati (più o meno male) da mille altre band.
Come sei maturato come artista?
Domanda difficile, forse dovrebbero dirmelo gli altri… Credo di essere diventato più sobrio nell’esporre certi concetti, pur mantenendo idee estreme, e ho imparato a non fare alcuni errori di comunicazione o d’immagine, o almeno spero! Diciamo che ora mantengo molto di più l’enfasi sull’aspetto strettamente musicale e cerco di comportarmi da professionista nei limiti del possibile. Come musicista, forse sono migliorato tecnicamente e ho più nozioni tecniche anche a livello di registrazione o live, so quello che voglio ottenere e come ottenerlo.
A maggio (nda 2020) avete pubblicato “Nihilistic Estrangement” e, come dicevo, anche in quest’ultima uscita avete dimostrato grande coraggio e coerenza nella continua ricerca di nuove frontiere per il vostro sound. Come siete arrivati a questo bellissimo full length e cosa vi ha ispirato a livello musicale?
Il disco precedente aveva molti strati e arrangiamenti e suonava piuttosto complesso mentre a questo giro abbiamo lasciato da parte gli arzigogoli in favore di un sound più scarno ed essenziale. In questo senso forse può risultare più “crudo” ma è un disco un po’ più melodico rispetto ai due precedenti e maggiormente basato sulle atmosfere; al tempo stesso ha anche diversi riferimenti al blues, alla musica Southern e all’Hard Rock, così come al dark anni ’80, “mascherati” attraverso un feeling più Black Metal rispetto alle ultime produzioni che invece erano più pesanti e con alcune influenze Sludge più marcate. Gli elementi nella nostra musica sono sempre stati un’unione di tutte queste cose, specialmente da “Negative Megalomania” in poi, ma a seconda dell’ispirazione alcuni album tendono più da una parte e altri da un’altra. Mi piace definirlo “Black Rock” invece che “Black Metal”; l’unica traccia veramente retrò e Black Metal anni ’90 è l’ultima, “RBMK”, che è senza dubbio uno dei brani più estremi che abbiamo mai scritto ma al tempo stesso ha un mood molto sinistro e degli arrangiamenti inusuali. Nel complesso il disco per me è una buona unione di tutte le varie esplorazioni del nostro sound attraverso gli anni, riviste in un’ottica ulteriormente nuova; la title-track ad esempio è un brano molto diverso da qualunque cosa fatta in precedenza, “Distrust3” ha un’intera parte blues centrale rivisitata in chiave “grim”, “Iris House Pt.I” si basa su una slide-guitar e su lick blues e anche gli altri brani possiedono alcuni di questi elementi ed altre soluzioni che trovo piuttosto inusuali e interessanti.
Continua la lettura dell’intervista nella pagina della band, Forgotten Tomb.
Tag: heavy metal, forgotten tomb, NWOBHM, intervista
2023-07-20
Flamekeeper – Una Fiamma nell’Oscurità
“We Who Light the Fire”, primo lavoro della one-man band Flamekeeper, è un disco che colpisce per qualità e intensità da subito grazie al suo mix ben equilibrato tra Epic e Black Metal. Mentre sceglievo il pezzo da inserire nella puntata di Subterranea (https://www.staimusic.com/it/radiochannel/radio-cereal-killer_139.html) ho cominciato a raccogliere informazioni per la presentazione del lavoro, e più leggevo e più pensavo quanto sarebbe stato interessante intervistare Marco, mastermind del progetto. Bene, sotto avete la possibilità di leggere cosa ne è saltato fuori, quindi… Stappatevi una bella birra gelata e buona lettura.
Ciao Marco, prima di tutto grazie per la disponibilità e benvenuto sulle pagine di StaiMusic. Per rompere il ghiaccio ti chiederei di iniziare a raccontarci un po' come nasce il progetto Flamekeeper.
Flamekeeper è ispirato dalla vita e riflette i valori con cui ho deciso di viverla. Il cuore della mia musica risiede proprio nel suo messaggio: in un universo crudelmente privo di senso, l'uomo ha il compito mitologico di trovare un significato alla propria esistenza. L'obiettivo esistenziale da ricercare e perseguire è la fiamma che illumina il cammino nel buio del cosmo. Non ci è dato conoscere il nostro scopo dalla nascita ma dobbiamo trovarlo, o meglio, crearlo da soli.
Quando ho deciso di traslare in musica questo concetto, le canzoni si sono materializzate molto naturalmente con il tono epico che le unisce tutte fra loro.
Al giorno d'oggi, la narrativa e l'immaginario epico sono legati a doppio filo con il fantasy, usato spesso con lo scopo di isolarsi da una realtà che disattende le aspettative umane e delude il desiderio di avventura, impossibile da perseguire dentro le quattro mura delle nostre stanze.
Contrariamente, voglio che le sonorità eroiche ed antiche dei miei brani ispirino le persone a vivere la realtà con più coraggio e determinazione.
A fine novembre (nda 2019) è uscito il primo EP intitolato “We Who Light the Fire” dove ti sei occupato di tutte le fasi di lavorazione, dalla scrittura alla registrazione dei brani. Cosa ti ha portato alla decisione di affrontare tale impresa?
Per me è stato abbastanza facile in quanto mi occupo di musica a tempo pieno. Oltre che essere musicista sono anche produttore e fonico. Questa conoscenza mi permette di avere una visione a 360° di un progetto, possa essere una canzone, un disco, come una nuova band.
Nonostante le attività musicali necessitino di collaborazione e lavoro congiunto con altre persone, per me la composizione rimane comunque una pratica che favorisco in solitudine.
Laddove la mia ambizione supera i miei limiti, non ho problemi a chiedere aiuto: “We Who Light the Fire” è stata la mia prima esperienza di canto melodico, senza il soccorso e la guida del mio amico (e cantante incredibile) Giuseppe dei NIGHT GAUNT non avrei saputo come portare a termine il compito.
Quali sono le differenze nel lavorare ad un progetto in un gruppo e nel farlo da soli?
L'input dei membri di una band può sbloccare molto rapidamente situazioni di indecisione artistica, tattica e tecnica, questo è un grosso pro del lavorare in gruppo.
Essendo io capace di poter sviluppare idee ritmiche e melodiche in totale indipendenza, mi abbandono spesso alla solitudine per esplorare me stesso più profondamente, questo però a volte mi porta anche incontro a realtà difficili da accettare, dubbi laceranti e indecisione paralizzante.
Fino all'annuncio del lancio dell'EP su Invictus, ho tenuto Flamekeeper gelosamente nascosto al mondo, tranne che per alcuni amici e familiari di cui stimo molto l'opinione e che mi hanno aiutato a far avere a Flamekeeper la forma che ha oggi oltre che ad aiutarmi ad uscire dai labirinti che quotidianamente mi costruisco. Sapete chi siete e vi ringrazierò sempre!
Nel sound dell’Ep si possono trovare diverse influenze, dal Black all’Heavy Metal più classico, riuscendo a mantenere comunque una forte personalizzazione nel risultato finale. Quali sono state le band o i lavori a cui ti sei ispirato per questo progetto? Sei soddisfatto di come suona il disco?
Sono ispirato da tutti i tipi di musica caratterizzati da atmosfere epiche e trionfanti. Oltre ai generi da te sopracitati, ascolto molta musica popolare medievale, classica, folk, colonne sonore di Spaghetti Western. Non ho un riferimento preciso e tendo a sperimentare molto nella composizione.
Sono ovviamente soddisfatto al 100% di questa release.
Continua la lettura dell’intervista nella pagina della band, Flamekeeper.
Ciao Marco, prima di tutto grazie per la disponibilità e benvenuto sulle pagine di StaiMusic. Per rompere il ghiaccio ti chiederei di iniziare a raccontarci un po' come nasce il progetto Flamekeeper.
Flamekeeper è ispirato dalla vita e riflette i valori con cui ho deciso di viverla. Il cuore della mia musica risiede proprio nel suo messaggio: in un universo crudelmente privo di senso, l'uomo ha il compito mitologico di trovare un significato alla propria esistenza. L'obiettivo esistenziale da ricercare e perseguire è la fiamma che illumina il cammino nel buio del cosmo. Non ci è dato conoscere il nostro scopo dalla nascita ma dobbiamo trovarlo, o meglio, crearlo da soli.
Quando ho deciso di traslare in musica questo concetto, le canzoni si sono materializzate molto naturalmente con il tono epico che le unisce tutte fra loro.
Al giorno d'oggi, la narrativa e l'immaginario epico sono legati a doppio filo con il fantasy, usato spesso con lo scopo di isolarsi da una realtà che disattende le aspettative umane e delude il desiderio di avventura, impossibile da perseguire dentro le quattro mura delle nostre stanze.
Contrariamente, voglio che le sonorità eroiche ed antiche dei miei brani ispirino le persone a vivere la realtà con più coraggio e determinazione.
A fine novembre (nda 2019) è uscito il primo EP intitolato “We Who Light the Fire” dove ti sei occupato di tutte le fasi di lavorazione, dalla scrittura alla registrazione dei brani. Cosa ti ha portato alla decisione di affrontare tale impresa?
Per me è stato abbastanza facile in quanto mi occupo di musica a tempo pieno. Oltre che essere musicista sono anche produttore e fonico. Questa conoscenza mi permette di avere una visione a 360° di un progetto, possa essere una canzone, un disco, come una nuova band.
Nonostante le attività musicali necessitino di collaborazione e lavoro congiunto con altre persone, per me la composizione rimane comunque una pratica che favorisco in solitudine.
Laddove la mia ambizione supera i miei limiti, non ho problemi a chiedere aiuto: “We Who Light the Fire” è stata la mia prima esperienza di canto melodico, senza il soccorso e la guida del mio amico (e cantante incredibile) Giuseppe dei NIGHT GAUNT non avrei saputo come portare a termine il compito.
Quali sono le differenze nel lavorare ad un progetto in un gruppo e nel farlo da soli?
L'input dei membri di una band può sbloccare molto rapidamente situazioni di indecisione artistica, tattica e tecnica, questo è un grosso pro del lavorare in gruppo.
Essendo io capace di poter sviluppare idee ritmiche e melodiche in totale indipendenza, mi abbandono spesso alla solitudine per esplorare me stesso più profondamente, questo però a volte mi porta anche incontro a realtà difficili da accettare, dubbi laceranti e indecisione paralizzante.
Fino all'annuncio del lancio dell'EP su Invictus, ho tenuto Flamekeeper gelosamente nascosto al mondo, tranne che per alcuni amici e familiari di cui stimo molto l'opinione e che mi hanno aiutato a far avere a Flamekeeper la forma che ha oggi oltre che ad aiutarmi ad uscire dai labirinti che quotidianamente mi costruisco. Sapete chi siete e vi ringrazierò sempre!
Nel sound dell’Ep si possono trovare diverse influenze, dal Black all’Heavy Metal più classico, riuscendo a mantenere comunque una forte personalizzazione nel risultato finale. Quali sono state le band o i lavori a cui ti sei ispirato per questo progetto? Sei soddisfatto di come suona il disco?
Sono ispirato da tutti i tipi di musica caratterizzati da atmosfere epiche e trionfanti. Oltre ai generi da te sopracitati, ascolto molta musica popolare medievale, classica, folk, colonne sonore di Spaghetti Western. Non ho un riferimento preciso e tendo a sperimentare molto nella composizione.
Sono ovviamente soddisfatto al 100% di questa release.
Continua la lettura dell’intervista nella pagina della band, Flamekeeper.
Tag: heavy metal, flamekeeper, NWOBHM, intervista
2023-07-17
Doomraiser – Europa Terra Oscura
Nell’ultima puntata di Subterranea (https://www.staimusic.com/it/radiochannel/radio-cereal-killer_139.html) ho parlato dell’eccezionale lavoro dei Doomraiser, quel “The Dark Side of Old Europa” che ci ha riconsegnato dopo cinque anni dall’ultimo full length una band in grandissima forma. Per farmi raccontare qualcosa in più sulla nuova release o contattato la band che, nella persona del frontman Nicola “Cynar” Rossi, con grande disponibilità ha risposto a tutte le mie domande.
Quindi stappatevi una bella birra gelata e buttarvi nella lettura.
Ciao Nicola, ti ringrazio per la disponibilità e benvenuto sulle pagine di Staimusic.
Inizierei con un evergreen: raccontaci un po' di voi, come nascono i Doomraiser, quali erano le vostre aspettative quando avete iniziato e cosa vi ha portato a scegliere il Doom come genere espressivo?
Grazie a voi per averci invitato sulle vostre pagine. Non abbiamo scelto il genere tra i tanti, il tutto è nato in maniera spontanea e istintiva, era nella nostra natura suonare questo tipo di musica e non avevamo delle vere e proprie aspettative in merito, semplicemente il bisogno di canalizzare le nostre energie e la nostra creatività attraverso questo tipo di sonorità e vibrazioni, divulgando un messaggio concettuale attraverso un approccio comune.
Che significato ha, secondo te, questo genere nel 2020?
Quando ci appassionammo tutti noi al genere (durante i primi anni novanta), il Doom era totalmente fuori le righe e sembrava anche bizzarro all'ascolto di persone che seguivano il Metal. Successivamente qualcosa cambiò, d'un tratto ci fu un grande interesse nei confronti di questo genere musicale, fino ad arrivare alla trasformazione di esso e alla nascita delle sue molteplici sfaccettature, diventando addirittura tendenza negli ultimi anni. Secondo noi Il Doom non è un vero e proprio genere musicale, è più un sentire, un pensiero, un'attitudine, una visione del mondo e delle cose della vita. Non serve suonare riff pesanti, accompagnati da sezioni ritmiche lente e ossessive se non c'è l'attitudine. Non ci sono pretese in questo, semplicemente l'essere trasportati dall'essenza della musica attraverso uno stato catartico, che segue però un discorso di vita quotidiana. Siamo sempre stati fuori da certi tipi di cliché, da certi luoghi comuni e da certe mode di genere.
Sono passati sedici anni dal demo d’esordio “Heavy Drunken Doom”, come è cambiato il sound dei Doomraiser da quel primo lavoro all’ultimo “The Dark Side of Old Europa” uscito a gennaio di quest’anno (nda 2020)?
Ogni nostro lavoro rappresenta un tassello del nostro percorso musicale, un determinato punto di vista che va a confluire in un discorso più ampio e di significato, all'interno di quella che è la nostra ricerca. Ogni album è diverso dai precedenti, sia sotto il profilo musicale che su quello concettuale, ognuno di essi ha una storia, una propria anima, un proprio tratto distintivo. Ma siamo stati sempre attenti nel cercare di mantenere vivi i vari aspetti che contraddistinguono il nostro sound, ampliandolo e contaminandolo, pur mantenendo un'omogeneità stilistica che fosse capace di legare i diversi lavori attraverso una continuità con un certo tipo di discorso.
“The Dark Side of Old Europa” esce a cinque anni di distanza dal precedente “Reverse (Passaggio Inverso)”, come mai abbiamo dovuto aspettare tanto per questa nuova release?
Abbiamo avuto un cambio di line up: è ritornato Giuseppe, il nostro primo chitarrista e cofondatore della band e questo ovviamente ha comportato un periodo di riassestamento sotto il processo creativo e compositivo. Nel frattempo siamo stati sempre attivi sul versante dei live.
Nel 2018 avete partecipato alla registrazione di “Terror Tales”, il tributo a quell’entità mitologica che sono i Death SS. Raccontaci di quell’esperienza.
Ci contattò Massimo Gasperini, boss della Black Widow Records, invitandoci a partecipare al tributo e noi accettammo subito l'invito. È stata una bella e intensa esperienza e siamo stati onorati nell'aver preso parte ad un tributo nei confronti di una band così importante nel panorama nazionale e internazionale. Tutti noi adoriamo i Death SS e abbiamo scelto tra i tanti brani “Night of the Witch”, proprio perché nella sua immediatezza e nella sua semplicità lo sentivamo nostro, inoltre è un brano tra i meno conosciuti della band e questa cosa ci affascinava. È stato interessante reinterpretarlo, rielaborandolo a modo nostro, poiché abbiamo cercato di mantenere la struttura originale, mentre in una seconda fase, abbiamo cercato di stravolgerlo, accostandolo alle nostre coordinate stilistiche. Questa esperienza è stata una vera e propria sfida, ci siamo divertiti parecchio e il risultato finale è stato più che soddisfacente.
Torniamo ora al nuovo “The Dark Side of Old Europa”.
Nonostante l’album non sia un vero e proprio concept è evidente lo spirito che permea tutto il lavoro. Di cosa parla il disco e cosa vi ha ispirato?
Come hai anticipato tu, il disco non è un vero e proprio concept, ma le tematiche dei brani si possono collegare tra di loro. L'album descrive e cerca di cogliere alcuni oscuri aspetti legati al nostro continente. Le tematiche e i concetti sono multiformi e toccano sia la sfera socio politica che quella relativa al mondo occulto ed esoterico. L’Europa, attraverso la politica colonialista e imperialista adottata per conquista, ha distrutto popolazioni, ha predato terre, fagocitando e inglobando secolari credi religiosi e interi apparati comunitari. La visione eurocentrica è stata forse il vero male della storia moderna, arrecando vari disastri, che l'umanità oggi sta ancora scontando. Dall’altro lato si descrive un’Europa esoterica e occulta, una terra con un passato pagano e antico, florido sotto il carattere della tradizione e della superstizione, dove alcuni aspetti legati all’ignoto si fondevano con bizzarre visioni del mondo, basti pensare alle credenze della stregoneria medievale e di come essa sia stata veicolo di un intero comportamento sociale, attraverso usi e costumi, leggende e narrazioni; accanto ad essa la concezione del diavolo della cultura cattolica, visto come il nemico, come l'avversario, come colui che va combattuto con tutti i mezzi per redimere la propria condizione spirituale, il diavolo come una costante minaccia della ragione umana e della dimensione del reale, soggetto che diventa pensiero fisso, capace di insinuarsi in tutti gli angoli della vita umana, quando invece esso, in varie culture esoteriche, come l'alchimia o lo studio dei tarocchi, rappresenta la scintilla che libera l'uomo dalla condizione dell'Eden, quella condizione cosiddetta pura, ma che tiene intrappolata la natura del libero arbitrio e della volontà. Sul disco si parla inoltre, di altri aspetti legati alla triste e nera visione del lutto connessa alla morte umana; di alcuni culti pagani come il culto segreto di Mithras, religione che ebbe la sua massima espansione nella Roma del primo secolo dopo Cristo. Quindi un'Europa pagana, capace di cogliere il senso armonico ed equilibrato del rapporto tra l'umano e il divino, tra l'uomo e il cosmo, un'Europa ormai estinta.
Continua la lettura dell’intervista nella pagina della band, Doomraiser.
Quindi stappatevi una bella birra gelata e buttarvi nella lettura.
Ciao Nicola, ti ringrazio per la disponibilità e benvenuto sulle pagine di Staimusic.
Inizierei con un evergreen: raccontaci un po' di voi, come nascono i Doomraiser, quali erano le vostre aspettative quando avete iniziato e cosa vi ha portato a scegliere il Doom come genere espressivo?
Grazie a voi per averci invitato sulle vostre pagine. Non abbiamo scelto il genere tra i tanti, il tutto è nato in maniera spontanea e istintiva, era nella nostra natura suonare questo tipo di musica e non avevamo delle vere e proprie aspettative in merito, semplicemente il bisogno di canalizzare le nostre energie e la nostra creatività attraverso questo tipo di sonorità e vibrazioni, divulgando un messaggio concettuale attraverso un approccio comune.
Che significato ha, secondo te, questo genere nel 2020?
Quando ci appassionammo tutti noi al genere (durante i primi anni novanta), il Doom era totalmente fuori le righe e sembrava anche bizzarro all'ascolto di persone che seguivano il Metal. Successivamente qualcosa cambiò, d'un tratto ci fu un grande interesse nei confronti di questo genere musicale, fino ad arrivare alla trasformazione di esso e alla nascita delle sue molteplici sfaccettature, diventando addirittura tendenza negli ultimi anni. Secondo noi Il Doom non è un vero e proprio genere musicale, è più un sentire, un pensiero, un'attitudine, una visione del mondo e delle cose della vita. Non serve suonare riff pesanti, accompagnati da sezioni ritmiche lente e ossessive se non c'è l'attitudine. Non ci sono pretese in questo, semplicemente l'essere trasportati dall'essenza della musica attraverso uno stato catartico, che segue però un discorso di vita quotidiana. Siamo sempre stati fuori da certi tipi di cliché, da certi luoghi comuni e da certe mode di genere.
Sono passati sedici anni dal demo d’esordio “Heavy Drunken Doom”, come è cambiato il sound dei Doomraiser da quel primo lavoro all’ultimo “The Dark Side of Old Europa” uscito a gennaio di quest’anno (nda 2020)?
Ogni nostro lavoro rappresenta un tassello del nostro percorso musicale, un determinato punto di vista che va a confluire in un discorso più ampio e di significato, all'interno di quella che è la nostra ricerca. Ogni album è diverso dai precedenti, sia sotto il profilo musicale che su quello concettuale, ognuno di essi ha una storia, una propria anima, un proprio tratto distintivo. Ma siamo stati sempre attenti nel cercare di mantenere vivi i vari aspetti che contraddistinguono il nostro sound, ampliandolo e contaminandolo, pur mantenendo un'omogeneità stilistica che fosse capace di legare i diversi lavori attraverso una continuità con un certo tipo di discorso.
“The Dark Side of Old Europa” esce a cinque anni di distanza dal precedente “Reverse (Passaggio Inverso)”, come mai abbiamo dovuto aspettare tanto per questa nuova release?
Abbiamo avuto un cambio di line up: è ritornato Giuseppe, il nostro primo chitarrista e cofondatore della band e questo ovviamente ha comportato un periodo di riassestamento sotto il processo creativo e compositivo. Nel frattempo siamo stati sempre attivi sul versante dei live.
Nel 2018 avete partecipato alla registrazione di “Terror Tales”, il tributo a quell’entità mitologica che sono i Death SS. Raccontaci di quell’esperienza.
Ci contattò Massimo Gasperini, boss della Black Widow Records, invitandoci a partecipare al tributo e noi accettammo subito l'invito. È stata una bella e intensa esperienza e siamo stati onorati nell'aver preso parte ad un tributo nei confronti di una band così importante nel panorama nazionale e internazionale. Tutti noi adoriamo i Death SS e abbiamo scelto tra i tanti brani “Night of the Witch”, proprio perché nella sua immediatezza e nella sua semplicità lo sentivamo nostro, inoltre è un brano tra i meno conosciuti della band e questa cosa ci affascinava. È stato interessante reinterpretarlo, rielaborandolo a modo nostro, poiché abbiamo cercato di mantenere la struttura originale, mentre in una seconda fase, abbiamo cercato di stravolgerlo, accostandolo alle nostre coordinate stilistiche. Questa esperienza è stata una vera e propria sfida, ci siamo divertiti parecchio e il risultato finale è stato più che soddisfacente.
Torniamo ora al nuovo “The Dark Side of Old Europa”.
Nonostante l’album non sia un vero e proprio concept è evidente lo spirito che permea tutto il lavoro. Di cosa parla il disco e cosa vi ha ispirato?
Come hai anticipato tu, il disco non è un vero e proprio concept, ma le tematiche dei brani si possono collegare tra di loro. L'album descrive e cerca di cogliere alcuni oscuri aspetti legati al nostro continente. Le tematiche e i concetti sono multiformi e toccano sia la sfera socio politica che quella relativa al mondo occulto ed esoterico. L’Europa, attraverso la politica colonialista e imperialista adottata per conquista, ha distrutto popolazioni, ha predato terre, fagocitando e inglobando secolari credi religiosi e interi apparati comunitari. La visione eurocentrica è stata forse il vero male della storia moderna, arrecando vari disastri, che l'umanità oggi sta ancora scontando. Dall’altro lato si descrive un’Europa esoterica e occulta, una terra con un passato pagano e antico, florido sotto il carattere della tradizione e della superstizione, dove alcuni aspetti legati all’ignoto si fondevano con bizzarre visioni del mondo, basti pensare alle credenze della stregoneria medievale e di come essa sia stata veicolo di un intero comportamento sociale, attraverso usi e costumi, leggende e narrazioni; accanto ad essa la concezione del diavolo della cultura cattolica, visto come il nemico, come l'avversario, come colui che va combattuto con tutti i mezzi per redimere la propria condizione spirituale, il diavolo come una costante minaccia della ragione umana e della dimensione del reale, soggetto che diventa pensiero fisso, capace di insinuarsi in tutti gli angoli della vita umana, quando invece esso, in varie culture esoteriche, come l'alchimia o lo studio dei tarocchi, rappresenta la scintilla che libera l'uomo dalla condizione dell'Eden, quella condizione cosiddetta pura, ma che tiene intrappolata la natura del libero arbitrio e della volontà. Sul disco si parla inoltre, di altri aspetti legati alla triste e nera visione del lutto connessa alla morte umana; di alcuni culti pagani come il culto segreto di Mithras, religione che ebbe la sua massima espansione nella Roma del primo secolo dopo Cristo. Quindi un'Europa pagana, capace di cogliere il senso armonico ed equilibrato del rapporto tra l'umano e il divino, tra l'uomo e il cosmo, un'Europa ormai estinta.
Continua la lettura dell’intervista nella pagina della band, Doomraiser.
Tag: heavy metal, doomraiser, NWOBHM, intervista
2023-07-15
HEXTAR – Heavy Metal Never Dies
Alla ricerca costante di band interessanti da passare sul mio podcast “Subterranea” (https://www.staimusic.com/it/radiochannel/radio-cereal-killer_139.html) mi sono imbattuto in questa giovane band dedita all’Heavy Metal più classico. Per l’uscita del loro primo lavoro in studio omonimo ho contattato gli Hextar per farmi raccontare qualcosa su di loro e sul loro interessantissimo Ep uscito ad aprile di quest’anno (nda 2020). Quindi, iniziate con lo stapparvi una bella birra gelata e immergetevi subito nell’intervista al gruppo.
Ciao ragazzi e benvenuti sulle pagine di Staimusic.
Ho letto che gli Hextar si sono formati sul finire del 2019, come nasce il progetto e quali sono state le influenze che vi hanno portato ad un Heavy Metal di matrice classica?
Salve a tutti, e innanzitutto grazie per averci voluto rendere partecipi di questa intervista! In realtà il progetto nasce verso fine 2018 tra Marco, Andrea e Emiliano inizialmente, che già si conoscevano nella scena musicale locale dove suonavano in band diverse spesso incrociatesi durante eventi e live. Da subito c’è stata sinergia, l’obiettivo era chiaro, suonare Heavy Metal con influenze provenienti da band come i primi Blind Guardian e Helloween, essenzialmente quella che possiamo descrivere come un’ispirazione di matrice teutonica, poi contaminata anche da altre realtà.
Durante Marzo 2019 Edoardo si unisce alla band come cantante, e insieme a egli vengono ultimati i testi dei pezzi, oltre alla scrittura dell’ultimo brano per l’EP. Grazie alle sue influenze abbiamo aggiunto elementi stilistici Maideniani e “alla Queensryche” oltre a confermare l’influenza degli Helloween, sua ispirazione principale, dall’era Kiske. Concludiamo dicendo che il nostro Heavy/Power Metal è volutamente melodico e orchestrale, volendo richiamare anche uno stile compositivo più vicino ad alcune realtà anni 70, come Queen e Rainbow.
Il nome Hextar mi ha incuriosito subito, come ci siete arrivati e perché questa scelta?
La scelta del nome ricade subito sull’idea di utilizzare una singola parola, o una contrazione di due o più. Ovviamente è uno dei metodi più utilizzati ed efficaci per dare il nome a una band, lasciando ormai poche opzioni originali.
La decisione è ricaduta su ‘Hextar’ quando abbiamo deciso di unire due parole ossia ‘Hex’ e ‘Star’, per i non anglofoni la prima parola significa ‘sortilegio’, ‘maledizione’ o ‘feticcio’, la seconda semplicemente ‘stella’. Da qui contraendo la ‘S’ otteniamo per l’appunto ‘Hextar’ che può essere visto come ‘Stella Maledetta’, ispirato all’antico credo secondo il quale le comete potessero essere segno di sventura.
Dopo quanto tempo dal completamento della formazione siete entrati in studio e come siete arrivati alla pubblicazione del primo EP?
Effettivamente non abbiamo impiegato molto tempo a entrare in studio, ma tra imprevisti vari, come la perdita della sala prove, siamo riusciti a varcarne le porte solamente un anno dopo la formazione effettiva della band. L’idea iniziale era di entrare a Giugno 2019, ma dati questi inconvenienti siamo riusciti a iniziare il nostro lavoro solamente a dicembre.
Sin dal concepimento della band l’idea era quella di uscire allo scoperto solo dopo aver avuto in mano un lavoro registrato e prodotto a dovere, come detto prima abbiamo incontrato svariati ostacoli, però mai di natura compositiva, ragion per cui abbiamo svelato la nostra presenza al mondo solamente all’inizio del 2020.
Pubblicare l’EP è stato comunque un sollievo, specialmente dopo l’enorme mole di lavoro posta addietro, oltre a una grossa soddisfazione personale. Prima di arrivare all’uscita dell’EP abbiamo inoltre creato un percorso attraverso il quale dipanare questa release, pubblicando dapprima due singoli, per poi infine svelare il lavoro completo.
Come avete lavorate sui pezzi che compongono l’omonimo “Hextar” e cosa ha ispirato i testi?
Il processo di composizione di questo EP è stato lineare e scorrevole. Di solito iniziamo da un riff o più di chitarra, posti in una simil-struttura “strofa – bridge – ritornello”, da quel punto i riff vengono elaborati insieme in sala prove, spostando pezzi e modificando i giri fino a che non troviamo la soluzione più efficace. Durante questo processo ognuno apporta il proprio stile al pezzo plasmandolo ancora più nel dettaglio.
Una volta ultimato il pezzo dal punto di vista compositivo, viene scritta la partitura e registrata una demo di chitarra, fatta in casa, con annessa batteria registrata alla buona in sala prove. Attraverso queste demo è stato possibile lavorare anche agli arrangiamenti secondari (come le linee di basso, tastiere, assoli e voce).
Per quanto riguarda i testi, ‘Faceless Dame’ parla della paralisi notturna, di ciò che proviamo durante questo fenomeno e delle figure che il nostro cervello ci mostra e che prova a interpretare in maniera razionale. ‘Heavy Words’ è un testo un po’ polemico, che se la prende con quegli individui tanto bravi a parole, ma poco a fatti, che spesso possiamo incontrare nel nostro quotidiano (i cosiddetti “big-headed”).
‘Sword of Damocles’ si rifà al mito di Damocle, la cui morale si può riassumere brevemente in “non giudicare la posizione privilegiata altrui, prima di conoscerne i rischi”. Il testo racconta in chiave moderna, attraverso gli occhi di uno spietato uomo d’affari, questa dicotomia di pensiero durante la sua scalata al potere. Continuando con “One Bad Day” l’ispirazione è abbastanza chiara, proviene infatti dalla graphic novel ‘The Killing Joke’ di Alan Moore. Nel testo si cita un personaggio fittizio chiamato ‘The Gambler’ che altri non è che il famoso pagliaccio del crimine di Gotham City.
Concludiamo con ‘The Stand’ che prende sempre ispirazione da un’opera letteraria, in questo caso l’omonimo libro di Stephen King, da noi conosciuto come ‘L’Ombra dello Scorpione’. Il libro inizia con lo sterminio della quasi totalità della razza umana a causa dell’erronea fuoriuscita di un letale virus influenzale, tale ‘Captain Trips’, da un centro di ricerca americano. Questa è solamente la sinossi iniziale, non confondetela con la realtà dei nostri giorni, e vi assicuriamo che non abbiamo fatto apposta, l’idea del concept risale all’estate scorsa.
Continua la lettura dell’intervista nella pagina della band, Hextar.
Ciao ragazzi e benvenuti sulle pagine di Staimusic.
Ho letto che gli Hextar si sono formati sul finire del 2019, come nasce il progetto e quali sono state le influenze che vi hanno portato ad un Heavy Metal di matrice classica?
Salve a tutti, e innanzitutto grazie per averci voluto rendere partecipi di questa intervista! In realtà il progetto nasce verso fine 2018 tra Marco, Andrea e Emiliano inizialmente, che già si conoscevano nella scena musicale locale dove suonavano in band diverse spesso incrociatesi durante eventi e live. Da subito c’è stata sinergia, l’obiettivo era chiaro, suonare Heavy Metal con influenze provenienti da band come i primi Blind Guardian e Helloween, essenzialmente quella che possiamo descrivere come un’ispirazione di matrice teutonica, poi contaminata anche da altre realtà.
Durante Marzo 2019 Edoardo si unisce alla band come cantante, e insieme a egli vengono ultimati i testi dei pezzi, oltre alla scrittura dell’ultimo brano per l’EP. Grazie alle sue influenze abbiamo aggiunto elementi stilistici Maideniani e “alla Queensryche” oltre a confermare l’influenza degli Helloween, sua ispirazione principale, dall’era Kiske. Concludiamo dicendo che il nostro Heavy/Power Metal è volutamente melodico e orchestrale, volendo richiamare anche uno stile compositivo più vicino ad alcune realtà anni 70, come Queen e Rainbow.
Il nome Hextar mi ha incuriosito subito, come ci siete arrivati e perché questa scelta?
La scelta del nome ricade subito sull’idea di utilizzare una singola parola, o una contrazione di due o più. Ovviamente è uno dei metodi più utilizzati ed efficaci per dare il nome a una band, lasciando ormai poche opzioni originali.
La decisione è ricaduta su ‘Hextar’ quando abbiamo deciso di unire due parole ossia ‘Hex’ e ‘Star’, per i non anglofoni la prima parola significa ‘sortilegio’, ‘maledizione’ o ‘feticcio’, la seconda semplicemente ‘stella’. Da qui contraendo la ‘S’ otteniamo per l’appunto ‘Hextar’ che può essere visto come ‘Stella Maledetta’, ispirato all’antico credo secondo il quale le comete potessero essere segno di sventura.
Dopo quanto tempo dal completamento della formazione siete entrati in studio e come siete arrivati alla pubblicazione del primo EP?
Effettivamente non abbiamo impiegato molto tempo a entrare in studio, ma tra imprevisti vari, come la perdita della sala prove, siamo riusciti a varcarne le porte solamente un anno dopo la formazione effettiva della band. L’idea iniziale era di entrare a Giugno 2019, ma dati questi inconvenienti siamo riusciti a iniziare il nostro lavoro solamente a dicembre.
Sin dal concepimento della band l’idea era quella di uscire allo scoperto solo dopo aver avuto in mano un lavoro registrato e prodotto a dovere, come detto prima abbiamo incontrato svariati ostacoli, però mai di natura compositiva, ragion per cui abbiamo svelato la nostra presenza al mondo solamente all’inizio del 2020.
Pubblicare l’EP è stato comunque un sollievo, specialmente dopo l’enorme mole di lavoro posta addietro, oltre a una grossa soddisfazione personale. Prima di arrivare all’uscita dell’EP abbiamo inoltre creato un percorso attraverso il quale dipanare questa release, pubblicando dapprima due singoli, per poi infine svelare il lavoro completo.
Come avete lavorate sui pezzi che compongono l’omonimo “Hextar” e cosa ha ispirato i testi?
Il processo di composizione di questo EP è stato lineare e scorrevole. Di solito iniziamo da un riff o più di chitarra, posti in una simil-struttura “strofa – bridge – ritornello”, da quel punto i riff vengono elaborati insieme in sala prove, spostando pezzi e modificando i giri fino a che non troviamo la soluzione più efficace. Durante questo processo ognuno apporta il proprio stile al pezzo plasmandolo ancora più nel dettaglio.
Una volta ultimato il pezzo dal punto di vista compositivo, viene scritta la partitura e registrata una demo di chitarra, fatta in casa, con annessa batteria registrata alla buona in sala prove. Attraverso queste demo è stato possibile lavorare anche agli arrangiamenti secondari (come le linee di basso, tastiere, assoli e voce).
Per quanto riguarda i testi, ‘Faceless Dame’ parla della paralisi notturna, di ciò che proviamo durante questo fenomeno e delle figure che il nostro cervello ci mostra e che prova a interpretare in maniera razionale. ‘Heavy Words’ è un testo un po’ polemico, che se la prende con quegli individui tanto bravi a parole, ma poco a fatti, che spesso possiamo incontrare nel nostro quotidiano (i cosiddetti “big-headed”).
‘Sword of Damocles’ si rifà al mito di Damocle, la cui morale si può riassumere brevemente in “non giudicare la posizione privilegiata altrui, prima di conoscerne i rischi”. Il testo racconta in chiave moderna, attraverso gli occhi di uno spietato uomo d’affari, questa dicotomia di pensiero durante la sua scalata al potere. Continuando con “One Bad Day” l’ispirazione è abbastanza chiara, proviene infatti dalla graphic novel ‘The Killing Joke’ di Alan Moore. Nel testo si cita un personaggio fittizio chiamato ‘The Gambler’ che altri non è che il famoso pagliaccio del crimine di Gotham City.
Concludiamo con ‘The Stand’ che prende sempre ispirazione da un’opera letteraria, in questo caso l’omonimo libro di Stephen King, da noi conosciuto come ‘L’Ombra dello Scorpione’. Il libro inizia con lo sterminio della quasi totalità della razza umana a causa dell’erronea fuoriuscita di un letale virus influenzale, tale ‘Captain Trips’, da un centro di ricerca americano. Questa è solamente la sinossi iniziale, non confondetela con la realtà dei nostri giorni, e vi assicuriamo che non abbiamo fatto apposta, l’idea del concept risale all’estate scorsa.
Continua la lettura dell’intervista nella pagina della band, Hextar.
Tag: heavy metal, hextar, NWOBHM, intervista
2023-06-05
Hyperion - Il Compimento di Interi Futuri
La nuova uscita del combo bolognese è l’occasione perfetta per presentare la band nella nuova puntata di Subterranea. Gli Hyperion, che già con il primo lavoro Dangerous Days avevano fatto centro, tornano in grande stile con il nuovo Into the Maelstrom, per l’occasione ho contattato la band per fare due chiacchiere a riguardo.
Quindi, come sempre, è il momento di stapparvi una bella birra gelata e leggere cosa Davide Ciotti, chitarrista della band, ci ha raccontato. Ciao Davide, ti do il benvenuto sulle pagine di Staimusic e ti ringrazio per la disponibilità. Inizierei subito chiedendoti di raccontarci qualcosa di voi, come nascono gli Hyperion e qual è l’idea dietro al progetto?
Ciao e grazie per questo spazio! Gli Hyperion sono nati nel 2015, quando quasi per caso incontrai, dopo tanti anni, il mio vecchio amico Jason (ora ex-batterista del gruppo) in una sala prove nella periferia di Bologna. Io avevo recentemente ripreso a suonare la chitarra dopo una lunga pausa dal mondo della musica, e lui stava cercando di mettere insieme una band Heavy Metal, con l'obiettivo di restare fedele ai canoni originali del genere, senza nessuna concessione ai vari trend del momento. Visto che, fra tutti i diversi generi musicali che mi è capitato di suonare, il Metal tradizionale è sempre rimasto il mio preferito, accettai subito la proposta e da quel momento sono ufficialmente nati gli Hyperion.
Già con il vostro primo album Dangerous Days, uscito nel 2017, era chiaro l’obiettivo di riscoprire e rielaborare in modo del tutto personale il sound Metal di inizi anni ‘80. Quali sono i gruppi a cui vi ispirate e quali sono i motivi che vi hanno spinto verso queste sonorità?
Tutti i componenti del gruppo sono fan di vecchia data del Metal classico, anche se naturalmente ognuno ha le proprie preferenze per quanto riguarda i singoli gruppi. Personalmente, come songwriter mi sento maggiormente influenzato dai gruppi inglesi della leggendaria NWOBHM, come ad esempio Iron Maiden, Judas Priest, Satan e Angel Witch. Come chitarrista, però, mi sento più legato alle sonorità Thrash Metal dei primi lavori di gruppi come Megadeth e Metallica; in definitiva credo che il sound degli HyperioN derivi dall'unione di questi due stili, ovviamente imparentati tra loro ma con caratteristiche distintive ben riconoscibili.
La riscoperta dell’Heavy Metal più classico è una tendenza mondiale che è ormai riconosciuta sotto il nome di NWOTHM. Conosci questo movimento? cosa ne pensi?
Il fatto che ancora oggi, dopo esattamente quarant'anni, ancora nascano nuovi gruppi che suonano questa musica, secondo me significa che l'Heavy tradizionale è un genere che almeno a livello underground non morirà mai, diversamente da altri stili che magari hanno avuto un momento di esplosione commerciale e poi si sono dissolti per lasciare spazio alla nuova moda del momento (penso ad esempio al Nu Metal di fine anni '90, chi se lo ricorda più?). Heavy Metal significa ritmiche potenti, riff aggressivi, melodie epiche e trascinanti: questa combinazione, se ben scritta e ben suonata, non smetterà mai di piacere ai very metalheads.
E siamo in due a pensarla in questo modo. Ad aprile di quest’anno (nda 2020) è uscito, sempre per Fighter Records, il vostro secondo full length Into the Maelstrom. Come siete approdati all’etichetta spagnola e come è stato lavorare con loro?
Fighter Records ci contattò nell'estate del 2017, dopo aver ricevuto la versione promo del nostro primo album Dangerous Days. Avevamo spedito l'album a molte etichette in tutto il mondo, ma fra tutte le proposte che ci vennero fatte quella di Fighter era senza dubbio la più seria e professionale. Purtroppo, pare che al giorno d'oggi molti gruppi accettino di pagare laute somme per poter entrare nel roster di una label e godere così dei relativi vantaggi da un punto di vista mediatico, ma con Fighter non è stato così, e siamo anche stati lasciati sempre totalmente liberi e indipendenti da un punto di vista creativo e organizzativo. Devo veramente ringraziare il boss della label Dave Rotten, una persona veramente seria e leale, che si fa in quattro per promuovere il Metal tradizionale in un mercato certamente non facile.
Continua la lettura dell’intervista nella pagina della band, Hyperion.
Quindi, come sempre, è il momento di stapparvi una bella birra gelata e leggere cosa Davide Ciotti, chitarrista della band, ci ha raccontato. Ciao Davide, ti do il benvenuto sulle pagine di Staimusic e ti ringrazio per la disponibilità. Inizierei subito chiedendoti di raccontarci qualcosa di voi, come nascono gli Hyperion e qual è l’idea dietro al progetto?
Ciao e grazie per questo spazio! Gli Hyperion sono nati nel 2015, quando quasi per caso incontrai, dopo tanti anni, il mio vecchio amico Jason (ora ex-batterista del gruppo) in una sala prove nella periferia di Bologna. Io avevo recentemente ripreso a suonare la chitarra dopo una lunga pausa dal mondo della musica, e lui stava cercando di mettere insieme una band Heavy Metal, con l'obiettivo di restare fedele ai canoni originali del genere, senza nessuna concessione ai vari trend del momento. Visto che, fra tutti i diversi generi musicali che mi è capitato di suonare, il Metal tradizionale è sempre rimasto il mio preferito, accettai subito la proposta e da quel momento sono ufficialmente nati gli Hyperion.
Già con il vostro primo album Dangerous Days, uscito nel 2017, era chiaro l’obiettivo di riscoprire e rielaborare in modo del tutto personale il sound Metal di inizi anni ‘80. Quali sono i gruppi a cui vi ispirate e quali sono i motivi che vi hanno spinto verso queste sonorità?
Tutti i componenti del gruppo sono fan di vecchia data del Metal classico, anche se naturalmente ognuno ha le proprie preferenze per quanto riguarda i singoli gruppi. Personalmente, come songwriter mi sento maggiormente influenzato dai gruppi inglesi della leggendaria NWOBHM, come ad esempio Iron Maiden, Judas Priest, Satan e Angel Witch. Come chitarrista, però, mi sento più legato alle sonorità Thrash Metal dei primi lavori di gruppi come Megadeth e Metallica; in definitiva credo che il sound degli HyperioN derivi dall'unione di questi due stili, ovviamente imparentati tra loro ma con caratteristiche distintive ben riconoscibili.
La riscoperta dell’Heavy Metal più classico è una tendenza mondiale che è ormai riconosciuta sotto il nome di NWOTHM. Conosci questo movimento? cosa ne pensi?
Il fatto che ancora oggi, dopo esattamente quarant'anni, ancora nascano nuovi gruppi che suonano questa musica, secondo me significa che l'Heavy tradizionale è un genere che almeno a livello underground non morirà mai, diversamente da altri stili che magari hanno avuto un momento di esplosione commerciale e poi si sono dissolti per lasciare spazio alla nuova moda del momento (penso ad esempio al Nu Metal di fine anni '90, chi se lo ricorda più?). Heavy Metal significa ritmiche potenti, riff aggressivi, melodie epiche e trascinanti: questa combinazione, se ben scritta e ben suonata, non smetterà mai di piacere ai very metalheads.
E siamo in due a pensarla in questo modo. Ad aprile di quest’anno (nda 2020) è uscito, sempre per Fighter Records, il vostro secondo full length Into the Maelstrom. Come siete approdati all’etichetta spagnola e come è stato lavorare con loro?
Fighter Records ci contattò nell'estate del 2017, dopo aver ricevuto la versione promo del nostro primo album Dangerous Days. Avevamo spedito l'album a molte etichette in tutto il mondo, ma fra tutte le proposte che ci vennero fatte quella di Fighter era senza dubbio la più seria e professionale. Purtroppo, pare che al giorno d'oggi molti gruppi accettino di pagare laute somme per poter entrare nel roster di una label e godere così dei relativi vantaggi da un punto di vista mediatico, ma con Fighter non è stato così, e siamo anche stati lasciati sempre totalmente liberi e indipendenti da un punto di vista creativo e organizzativo. Devo veramente ringraziare il boss della label Dave Rotten, una persona veramente seria e leale, che si fa in quattro per promuovere il Metal tradizionale in un mercato certamente non facile.
Continua la lettura dell’intervista nella pagina della band, Hyperion.
Tag: heavy metal, hyperion, NWOBHM, intervista
2023-05-16
ADE – L'abisso profondo della storia
I death metaller romani, con l’uscita del loro quarto album intitolato Rise Empire, ci raccontano attraverso il loro sound roccioso e feroce un nuovo capitolo della gloriosa e decadente storia dell’Impero Romano. L’inserimento di Gold Roots of War nell’ultima puntata di Subterranea è stata una buona scusa per contattare gli Ade per fare due chiacchiere. Alle mie domande ha risposto il mastermind, non che chitarrista della band Fabivs… Quindi non mi resta che consigliarvi di stappare una bella birra gelata e di augurarvi una buona lettura!
Ciao Fabivs, grazie per la disponibilità e benvenuto sulle pagine di StaiMusic. Gli Ade nascono nel 2007 e hanno ormai all'attivo quattro album. Come è nato il progetto e come sono cambiate le cose dal primo Ep Ultima Ratio del 2008?
Fabivs: Un saluto a tutti! Gli Ade nascono nel 2007, con l'obiettivo di unire due passioni: l'Antica Roma e il Death Metal e queste due cose sono sempre rimaste fino ad oggi. Più il tempo passa e più la band cerca una maggior qualità e personalità nel proprio sound, disco dopo disco.
Nel 2013, sull'album Spartacus, avete avuto l’occasione di collaborare con il batterista dei Nile, George Kollias, come è nata questa possibilità e che ricordo hai di quell'esperienza?
Fabivs: La collaborazione con George in realtà è nata quasi per scherzo, non pensavamo che ci rispondesse ed invece fu da subito molto interessato alle demo di Spartacus e al progetto. La stesura di Spartacus, il lavoro con George e i molti concerti fatti a supporto del disco in quegli anni personalmente sono tra i ricordi più belli che mi porto dentro.
Il metal è un genere che spesso è schiavo di canoni difficili da scardinare ma voi con il vostro caratteristico Ancient Roman Death Metal ci state sicuramente provando. Come viene visto in patria e fuori l’utilizzo di tematiche che non sono tipiche del genere?
Fabivs: La band è proprio nata come "antitesi" alla classica cultura metal di omaggiare le popolazioni nordiche e devo dire che parlare della nostra terra ha suscitato molto interesse in tutto il mondo. Esportare Roma e la sua storia all'estero lascia decisamente il segno, con tutta l'ammirazione che ho verso la cultura nordica ma niente è più epico della storia di Roma.
Segue l’intervista nella pagina della band, ADE.
Ciao Fabivs, grazie per la disponibilità e benvenuto sulle pagine di StaiMusic. Gli Ade nascono nel 2007 e hanno ormai all'attivo quattro album. Come è nato il progetto e come sono cambiate le cose dal primo Ep Ultima Ratio del 2008?
Fabivs: Un saluto a tutti! Gli Ade nascono nel 2007, con l'obiettivo di unire due passioni: l'Antica Roma e il Death Metal e queste due cose sono sempre rimaste fino ad oggi. Più il tempo passa e più la band cerca una maggior qualità e personalità nel proprio sound, disco dopo disco.
Nel 2013, sull'album Spartacus, avete avuto l’occasione di collaborare con il batterista dei Nile, George Kollias, come è nata questa possibilità e che ricordo hai di quell'esperienza?
Fabivs: La collaborazione con George in realtà è nata quasi per scherzo, non pensavamo che ci rispondesse ed invece fu da subito molto interessato alle demo di Spartacus e al progetto. La stesura di Spartacus, il lavoro con George e i molti concerti fatti a supporto del disco in quegli anni personalmente sono tra i ricordi più belli che mi porto dentro.
Il metal è un genere che spesso è schiavo di canoni difficili da scardinare ma voi con il vostro caratteristico Ancient Roman Death Metal ci state sicuramente provando. Come viene visto in patria e fuori l’utilizzo di tematiche che non sono tipiche del genere?
Fabivs: La band è proprio nata come "antitesi" alla classica cultura metal di omaggiare le popolazioni nordiche e devo dire che parlare della nostra terra ha suscitato molto interesse in tutto il mondo. Esportare Roma e la sua storia all'estero lascia decisamente il segno, con tutta l'ammirazione che ho verso la cultura nordica ma niente è più epico della storia di Roma.
Segue l’intervista nella pagina della band, ADE.
Tag: death metal, metal emergente, ade, intervista
2023-04-13
Soul Dragger - Il Demone alato che racconta l’animo umano
I Soul Dragger con il loro primo album omonimo mettono subito in chiaro le cose e con il loro Thrash contaminato da Heavy Metal e Metalcore producono un lavoro che convince subito dal primo ascolto. L’inserimento della loro Rise nell’ultima puntata di Subterranea mi ha dato l’occasione di poter contattare i ragazzi della band per fare una bella chiacchierata. quindi a questo punto non vi rimane che stappatevi una bella birra gelata e cominciare a leggere.
• Ciao ragazzi, innanzitutto benvenuti sulle pagine di StaiMusic.it e grazie per aver accettato la nostra intervista.
Partirei chiedendovi di raccontarci un po’ di voi. Qual’è stata la scintilla che vi ha portato al Metal e perché avete scelto proprio questo genere per esprimervi?
Ciao e grazie per averci dato la possibilità di avere un’intervista da parte vostra.Ci siamo avvicinati al genere Metal come tanti ragazzi in adolescenza, ascoltando band che proponevano amici e talvolta anche parenti. Abbiamo deciso di esprimerci con questo genere perché ci è sembrato il più adatto a noi per cominciare. Tra i componenti della band abbiamo dei gusti abbastanza simili per certi versi, perciò non è stato difficile venirsi incontro.
• I Soul Dragger si sono formati nel 2017, come nasce questo progetto?
I Soul Dragger nascono da un’idea del cantante chitarrista Alex di fondere il vecchio con il nuovo, cioè quella di prendere elementi di generi anni ’80 come l’Heavy Metal e il Thrash Metal e aggiungere sonorità più moderne come quelle del Metalcore e affini. Le versioni demo dei brani dell’album sono stati scritti dallo stesso Alex svariato tempo prima, ma sono stati riarrangiati da lui stesso con l’aiuto del batterista e del chitarrista solista.
Continua a leggere l’intervista nella pagina della band, Soul Dragger.
• Ciao ragazzi, innanzitutto benvenuti sulle pagine di StaiMusic.it e grazie per aver accettato la nostra intervista.
Partirei chiedendovi di raccontarci un po’ di voi. Qual’è stata la scintilla che vi ha portato al Metal e perché avete scelto proprio questo genere per esprimervi?
Ciao e grazie per averci dato la possibilità di avere un’intervista da parte vostra.Ci siamo avvicinati al genere Metal come tanti ragazzi in adolescenza, ascoltando band che proponevano amici e talvolta anche parenti. Abbiamo deciso di esprimerci con questo genere perché ci è sembrato il più adatto a noi per cominciare. Tra i componenti della band abbiamo dei gusti abbastanza simili per certi versi, perciò non è stato difficile venirsi incontro.
• I Soul Dragger si sono formati nel 2017, come nasce questo progetto?
I Soul Dragger nascono da un’idea del cantante chitarrista Alex di fondere il vecchio con il nuovo, cioè quella di prendere elementi di generi anni ’80 come l’Heavy Metal e il Thrash Metal e aggiungere sonorità più moderne come quelle del Metalcore e affini. Le versioni demo dei brani dell’album sono stati scritti dallo stesso Alex svariato tempo prima, ma sono stati riarrangiati da lui stesso con l’aiuto del batterista e del chitarrista solista.
Continua a leggere l’intervista nella pagina della band, Soul Dragger.
Tag: musica metal, nuovo metal, metal emergente, intervista, solu dragger
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