2024-11-12
Nuove esperienza di musica italiana, intervista a Hjarta
Oggi incontriamo Hjarta, un musicista che con il suo pezzo d’esordio ci ha impressionato positivamente. Lo potete ascoltare nella sua pagina o nella nostra playlist di band emergenti italiane.
Ci racconti un po’ come nasce la tua esperienza artistica?
Fin da piccolo avevo bisogno di esprimere; di tirare fuori. Lo facevo con la voce e il microfono giocattolo sulle canzoni di Battisti che si ascoltavano in macchina con i miei, ma anche attraverso i disegni, i travestimenti, i teatrini, la scrittura. Più tardi ho cercato di formalizzare questo impulso espressivo attraverso lo studio del pianoforte, il coro parrocchiale, le esperienze offerte dai centri estivi e dagli scout, alcuni concorsi di scrittura. Il canto però è sempre stata una passione segreta. Più crescevo e più diventava pericoloso perché tirava fuori troppo, e durante l'adolescenza quel troppo era scomodo, per me e per gli altri. Al liceo ho fatto parte di una band dalle velleità metal; all'università ho avviato alcuni altri progetti musicali, uno elettronico e uno acustico. Ma ho sempre tenuto la musica in secondo piano, quasi che affermare di volerne fare un mestiere fosse una bestemmia. A 26 anni ho iniziato a prendere lezioni di canto e, 4 anni dopo, ancora non ci capisco nulla. In tutti questi anni, comunque, non ho mai smesso di scrivere testi, per lo più in versi. Scrivo a intermittenza, ma scrivo da sempre. Le parole mi hanno sempre salvato.
Ti presenti con un nome molto particolare, ci spieghi da dove proviene e come lo hai scelto?
Hjarta significa "cuore" in islandese. La mia passione per l'Islanda nasce durante l'adolescenza. Nel mio cuore alberga da sempre un fascino per il Nord, il freddo, il buio, la natura aspra e selvaggia. I Sigur Rós, Björk, Pétur Ben, i Múm, i Samaris e Ásgeir Trausti hanno fatto il resto. Il mio interesse per la parola e, più in generale, per le lingue del mondo mi ha portato a esplorare (seppur superficialmente) anche la lingua islandese che, tra le lingue scandinave, è la più complessa. Di "hjarta" mi piace tutto: il suono (quell'acca che suona come una kappa aspirata); l'aspetto (l'elegante verticalità della j); il fatto che contenga la parola "art"; il fatto che, essendo parola islandese, racchiuda questa idea di Nord (che non è solo un luogo geografico ma una somma di sensazioni); e, infine, mi piace il suo significato: tutto ciò che scrivo parte da dentro il petto, anche se a volte è difficile sentire.
Il tuo singolo Le Ambulanze è il primo singolo del tuo prossimo album e sintesi di un tuo modo di vedere la realtà. Cosa suonano per te le ambulanze?
Le Ambulanze è una specie di sinestesia che raccoglie la sensazione di stare disteso su un letto, al buio, fissando il soffitto, mentre una sirena entra ed esce dal rumore della città e la luce blu lampeggiante entra ed esce dal campo visivo, ed è come la notte del mondo che sanguina.
Come è nato il testo di Ambulanze?
Come quasi tutti i miei testi, Le Ambulanze è nato in uno stato di ascolto del presente. Quella sera sentivo una sirena fuori dalla finestra (o forse la sentivo dentro, in una specie di stato di emergenza), e un'immagine ne richiamava un'altra, e poi un'altra, e i pensieri degli ultimi giorni e mesi affioravano l'uno dopo l'altro per essere inseriti in quel disegno. Altre volte per scrivere uso Facebook: scorro la mia bacheca e annoto i miei status che, spesso, non sono altro che pensieri, post-it virtuali. Spesso si richiamano l'un l'altro ed è possibile metterli insieme e crearci qualcosa.
Tra le stories e il Truman Show che citi nel testo, e mettiamoci anche le gabbie degli uccelli, cosa ne pensi del nostro costante essere in mostra?
Salire sul palco è un po' un mettersi in mostra. Ma dev'essere frutto di un'urgenza. Temo che l'ostentazione social abbia banalizzato il concetto di performance. Tutto è diventato spettacolo. Le nostre vite sono film, le stories sono trailer. La forma annulla la sostanza. Un po' mi fa paura perché temo che chi ha qualcosa da dire non venga udito.
Come vivi il tuo rapporto con Bologna? E con Truce Baldazzi ?
Bologna è un agglomerato bellissimo di case gialle, rosse, rosa e arancioni, un porto senza mare, un polo energetico. Da buongustaio, poi, mi sento nel Paese delle Meraviglie. Con Truce Baldazzi condivido Rastignano, dove ho vissuto per due mesi prima di trasferirmi a Bologna; lui ci scrisse Vendetta Vera, io ci ho scritto un altro pezzo che a breve pubblicherò. Sto pensando di contattarlo per averlo nel videoclip - sarebbe un bell'omaggio al suo paese!
Hai pubblicato una cover di Gala, Let a Boy Cry, cosa rappresenta per te questa canzone?
Il testo di quel pezzo è incredibilmente vicino al mio sentire e rappresenta quel senso impagabile di autovalidazione, quando scopri chi sei e che non sei più disposto a vivere la tua vita nelle scarpe di qualcun altro.
Come è stata la tua esperienza con Spritz For Five?
Con gli Spritz ho avuto l'opportunità di provare a fare il cantate di professione. Non è stato per niente facile ma, allo stesso tempo, mi ha consentito di avvicinare contesti e personaggi altrimenti irraggiungibili. Di tutta l'esperienza porto nel cuore l'incontro con Morgan (il nostro giudice a XFactor), con la sua cultura, la sua genialità, la sua autenticità e la passione contagiosa.
Ultimamente si sentono molti testi sciatti, con un linguaggio discutibile e messaggi davvero poveri. Come rispondi artisticamente a questo genere di prodotti?
Forse ogni prodotto è figlio del proprio tempo? A me piace mescolare. Anche le cose più sciatte, se reinterpretate, possono brillare. È un po' la storia del letame e dei fiori. Quindi scrivo un po' come viene, con le parole che mi piacciono e, a volte, anche con quelle che non mi piacciono perché in fondo spero di rivalutarle sotto un'altra luce. Quanto al messaggio, ognuno ha il suo ed è insindacabile. Quando scrivo, però, raramente penso a priori al messaggio. Più spesso il messaggio si nasconde in un cumulo di parole. Un po' come quei quadri impressionisti che rivelano le loro figure solo se visti da lontano.
A quando la pubblicazione del tuo album?
Eh. Sto cedendo alla tentazione di pubblicare un singolo dopo l'altro. Il prossimo singolo si chiama Ipertesto e uscirà entro fine febbraio.
Quali sono i tuoi progetti in cantiere?
Pubblicherò una serie di pezzi, prodotti da Rich Machines; vorrei farne dei video, diretti da Martin Basile. E poi vorrei iniziare a suonarli, magari qui a Bologna.
Ci racconti un po’ come nasce la tua esperienza artistica?
Fin da piccolo avevo bisogno di esprimere; di tirare fuori. Lo facevo con la voce e il microfono giocattolo sulle canzoni di Battisti che si ascoltavano in macchina con i miei, ma anche attraverso i disegni, i travestimenti, i teatrini, la scrittura. Più tardi ho cercato di formalizzare questo impulso espressivo attraverso lo studio del pianoforte, il coro parrocchiale, le esperienze offerte dai centri estivi e dagli scout, alcuni concorsi di scrittura. Il canto però è sempre stata una passione segreta. Più crescevo e più diventava pericoloso perché tirava fuori troppo, e durante l'adolescenza quel troppo era scomodo, per me e per gli altri. Al liceo ho fatto parte di una band dalle velleità metal; all'università ho avviato alcuni altri progetti musicali, uno elettronico e uno acustico. Ma ho sempre tenuto la musica in secondo piano, quasi che affermare di volerne fare un mestiere fosse una bestemmia. A 26 anni ho iniziato a prendere lezioni di canto e, 4 anni dopo, ancora non ci capisco nulla. In tutti questi anni, comunque, non ho mai smesso di scrivere testi, per lo più in versi. Scrivo a intermittenza, ma scrivo da sempre. Le parole mi hanno sempre salvato.
Ti presenti con un nome molto particolare, ci spieghi da dove proviene e come lo hai scelto?
Hjarta significa "cuore" in islandese. La mia passione per l'Islanda nasce durante l'adolescenza. Nel mio cuore alberga da sempre un fascino per il Nord, il freddo, il buio, la natura aspra e selvaggia. I Sigur Rós, Björk, Pétur Ben, i Múm, i Samaris e Ásgeir Trausti hanno fatto il resto. Il mio interesse per la parola e, più in generale, per le lingue del mondo mi ha portato a esplorare (seppur superficialmente) anche la lingua islandese che, tra le lingue scandinave, è la più complessa. Di "hjarta" mi piace tutto: il suono (quell'acca che suona come una kappa aspirata); l'aspetto (l'elegante verticalità della j); il fatto che contenga la parola "art"; il fatto che, essendo parola islandese, racchiuda questa idea di Nord (che non è solo un luogo geografico ma una somma di sensazioni); e, infine, mi piace il suo significato: tutto ciò che scrivo parte da dentro il petto, anche se a volte è difficile sentire.
Il tuo singolo Le Ambulanze è il primo singolo del tuo prossimo album e sintesi di un tuo modo di vedere la realtà. Cosa suonano per te le ambulanze?
Le Ambulanze è una specie di sinestesia che raccoglie la sensazione di stare disteso su un letto, al buio, fissando il soffitto, mentre una sirena entra ed esce dal rumore della città e la luce blu lampeggiante entra ed esce dal campo visivo, ed è come la notte del mondo che sanguina.
Come è nato il testo di Ambulanze?
Come quasi tutti i miei testi, Le Ambulanze è nato in uno stato di ascolto del presente. Quella sera sentivo una sirena fuori dalla finestra (o forse la sentivo dentro, in una specie di stato di emergenza), e un'immagine ne richiamava un'altra, e poi un'altra, e i pensieri degli ultimi giorni e mesi affioravano l'uno dopo l'altro per essere inseriti in quel disegno. Altre volte per scrivere uso Facebook: scorro la mia bacheca e annoto i miei status che, spesso, non sono altro che pensieri, post-it virtuali. Spesso si richiamano l'un l'altro ed è possibile metterli insieme e crearci qualcosa.
Tra le stories e il Truman Show che citi nel testo, e mettiamoci anche le gabbie degli uccelli, cosa ne pensi del nostro costante essere in mostra?
Salire sul palco è un po' un mettersi in mostra. Ma dev'essere frutto di un'urgenza. Temo che l'ostentazione social abbia banalizzato il concetto di performance. Tutto è diventato spettacolo. Le nostre vite sono film, le stories sono trailer. La forma annulla la sostanza. Un po' mi fa paura perché temo che chi ha qualcosa da dire non venga udito.
Come vivi il tuo rapporto con Bologna? E con Truce Baldazzi ?
Bologna è un agglomerato bellissimo di case gialle, rosse, rosa e arancioni, un porto senza mare, un polo energetico. Da buongustaio, poi, mi sento nel Paese delle Meraviglie. Con Truce Baldazzi condivido Rastignano, dove ho vissuto per due mesi prima di trasferirmi a Bologna; lui ci scrisse Vendetta Vera, io ci ho scritto un altro pezzo che a breve pubblicherò. Sto pensando di contattarlo per averlo nel videoclip - sarebbe un bell'omaggio al suo paese!
Hai pubblicato una cover di Gala, Let a Boy Cry, cosa rappresenta per te questa canzone?
Il testo di quel pezzo è incredibilmente vicino al mio sentire e rappresenta quel senso impagabile di autovalidazione, quando scopri chi sei e che non sei più disposto a vivere la tua vita nelle scarpe di qualcun altro.
Come è stata la tua esperienza con Spritz For Five?
Con gli Spritz ho avuto l'opportunità di provare a fare il cantate di professione. Non è stato per niente facile ma, allo stesso tempo, mi ha consentito di avvicinare contesti e personaggi altrimenti irraggiungibili. Di tutta l'esperienza porto nel cuore l'incontro con Morgan (il nostro giudice a XFactor), con la sua cultura, la sua genialità, la sua autenticità e la passione contagiosa.
Ultimamente si sentono molti testi sciatti, con un linguaggio discutibile e messaggi davvero poveri. Come rispondi artisticamente a questo genere di prodotti?
Forse ogni prodotto è figlio del proprio tempo? A me piace mescolare. Anche le cose più sciatte, se reinterpretate, possono brillare. È un po' la storia del letame e dei fiori. Quindi scrivo un po' come viene, con le parole che mi piacciono e, a volte, anche con quelle che non mi piacciono perché in fondo spero di rivalutarle sotto un'altra luce. Quanto al messaggio, ognuno ha il suo ed è insindacabile. Quando scrivo, però, raramente penso a priori al messaggio. Più spesso il messaggio si nasconde in un cumulo di parole. Un po' come quei quadri impressionisti che rivelano le loro figure solo se visti da lontano.
A quando la pubblicazione del tuo album?
Eh. Sto cedendo alla tentazione di pubblicare un singolo dopo l'altro. Il prossimo singolo si chiama Ipertesto e uscirà entro fine febbraio.
Quali sono i tuoi progetti in cantiere?
Pubblicherò una serie di pezzi, prodotti da Rich Machines; vorrei farne dei video, diretti da Martin Basile. E poi vorrei iniziare a suonarli, magari qui a Bologna.
Tag: musica italiana, nuovi volti, newbands, bologna
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