2023-12-10
L’intervista con Demo MC, tra old school e nuove tendenze con il suo nuovo lavoro Giudizi Popolari
Ciao Demo, allora come va? ;)
Ciao ragazzi, benone direi. Grazie per l’invito e per questa intervista.
Hai uno stile che miscela rap italiano old school, trap e parti di dubstep. Quali sono le tue principali influenze musicali?
Sembra una frase fatta, ma anche io sono uno di quelli che ascolta davvero un sacco di roba diversa l’una dall’altra. Per una questione anagrafica il rap “old school” è da sempre in playlist ma poi passo alla trap, al rock indie, all’edm, al raggaeton… l’ascolto è casuale, in realtà poi alla fine soprattutto con gli ultimi progetti l’obiettivo invece ha un focus ben preciso: mi piace immaginarmi come un bridge tra il “vecchio” ed il “nuovo” perché, spesso, come nella moda, tutto torna e la sfida è saperlo far funzionare al passo coi tempi.
In Ti Sembra Vero, da un certo punto di vista ribalti e critichi sia i canoni della trap sia quelli della vita media, creando una specie di parallelismo tra la scena musicale e la vita media contemporanea. Cosa è successo a entrambi i contesti nella nostra situazione contemporanea? E come vedi lo stile e il genere trap in questo momento? Senti una necessità di rinnovare la scena trap italiana?
Guarda, in realtà non è stata una critica alla trap o alla sua “scena”, perché di fatto l’impostazione del brano arriva da quel mondo lì. E’ uno storytelling, soprattutto nella prima strofa, è qualcosa che mi è successo non tanto tempo fa con una Major che mi ha contattato perché colpita dai risultati di “Skippa” e che nell’arco di qualche giorno ha ritrattato alcune pseudo-promesse con scuse senza senso. Forse si aspettavano il ragazzino affamato di successo e con le fette di salame sugli occhi, ma se mi chiedi “Dove vuoi arrivare”, a 36 anni, non posso che risponderti “Il più in alto possibile”. Evidentemente volevano far numero e allora tanto vale rimanere indipendente se non c’è un progetto che sta in piedi.. Il brano poi si evolve nella seconda parte e si, ci avete preso in pieno: proiettandoci in quella che è oggi la realtà, tutto questo ostentare ricchezza, brand e “bella vita” come unico esempio a cosa può portare? Ad altrettanti che ci proveranno e che crederanno che per fare questa roba devi prima pensare a cosa mettere nell’armadio e al collo piuttosto che nei testi. Non ha senso. O per lo meno non è tutto.
Per fortuna, come in tutte le cose, c’è sempre del buono nel marcio, ed i risultati e l’impatto mediatico che sta avendo (finalmente) il rap con tutte le sue diramazioni è bellissimo e lasciatemi dire, dovuto.
Non sento però il dovere o l’onere di rinnovare una scena in particolare, ognuno fa il suo e c’è spazio per tutti: sono gli addetti ai lavori che devono cercare però di differenziare il prodotto e chi lo fornisce, guardando anche al contenuto, altrimenti pur avendo oggi la possibilità di ascoltare tanto e tanti, avremo solo dei copia e incolla.
L’intro di Follow Me è un campione di California Love. Cosa ti ha spinto a inserirlo come presentazione del brano?
Guarda, niente di trascendentale. A parte l’importanza di 2Pac nella mia “crescita musicale”, in realtà con il protagonista (Omar, Ultratrail Runner), che è anche un amico, scherzandoci abbiam sempre detto che assomiglia tantissimo a 2Pac e allora quale sveglia migliore se non California Love?
Il concetto di “sotto casa”, con i social e tutto il resto, è diventato uno spazio immenso. Ma quel è il tuo “sotto casa, quello che senti più vicino a te?
Ti spiazzerò dicendoti che non mi sento rappresentato e né supportato realmente dal mio “sotto-casa”. Quando ho iniziato nel ’97 puntavi tantissimo a crearti un’identità ed una fama all’interno del paese o della “zona” (il mio primo gruppo si chiamava proprio “Tipi della zona”, fantasia!), in realtà col passare del tempo, quando prendi le cose seriamente, ti accorgi che tutto quel supporto “dal basso” non ce l’hai perché tanto loro sanno già chi sei. Una frase che ripeto spesso è “Gli amici o conoscenti sono gli ultimi a supportarti ma i primi che verranno a citofonarti a casa se diventerai qualcuno”. Per misurarti devi uscire dal tuo CAP, e nel mio caso vedere visualizzazioni in altre regioni, e spesso anche all’estero, con altrettanti commenti (positivi o negativi) è una vera vittoria: perché sei arrivato a loro con la tua musica, punto.
Come in Follow Me, in Skippa, ma anche negli altri tuoi brani, tratti la necessità di scrivere testi contrapposta a chi scrive per passare sui social senza veri contenuti, solo per la fama e l’esposizione. Cosa significa per te scrivere?
Si esatto, per me il contenuto è importantissimo. La musica deve comunicare, non ha altro scopo oltre che intrattenere, naturalmente. Ho sempre usato la scrittura e composizione dei brani per sfogarmi, comunicare uno stato d’animo o per provare a far smuovere qualcosa. E’ una valvola di sfogo, come può essere un ring per un pugile: sono io contro me stesso e se riesco a trasmettere la stessa cosa all’ascoltatore, sono la persona più felice del mondo.
In Un Bravo Ragazzo compari vestito molto simile al protagonista di Un Giorno di Ordinaria Follia, ma una versione più giovane e come nel film, quando ti toccano quelle “due o tre cose vedi che ti fa il pazzo”. Quali sono le cose che portano alla ribellione personale?
M fa piacere parlare di brani ormai datati ma che, come “Un bravo ragazzo”, per me hanno segnato l’inizio di un nuovo percorso insieme a Sonny Castillo (Loud Studio), produttore dei miei progetti da almeno 4 anni ormai… L’etichetta di bravo ragazzo mi è stata spesso affibbiata, nel senso che fondamentalmente (appunto) mi son sempre fatto gli affari miei, ho talmente tante cose a cui pensare (tra cui una famiglia) che tutto il resto passa in secondo piano. Questo non vuol dire che può cadermi in testa un meteorite senza che me ne accorga: se metti in dubbio la genuinità e dedizione con la quale produco la mia musica, i numeri che faccio o banalmente, sul personale, tocchi quelle 4/5 persone che per me sono tutto nella vita, allora sarebbe meglio andare ognuno per la sua strada. Per il resto, le chiacchiere, l’invidia degli altri, ed i leoni da tastiera, giusto per una citazione, “possono accompagnare solo”.
L’intervista continua nella pagina dell’artista.
Ciao ragazzi, benone direi. Grazie per l’invito e per questa intervista.
Hai uno stile che miscela rap italiano old school, trap e parti di dubstep. Quali sono le tue principali influenze musicali?
Sembra una frase fatta, ma anche io sono uno di quelli che ascolta davvero un sacco di roba diversa l’una dall’altra. Per una questione anagrafica il rap “old school” è da sempre in playlist ma poi passo alla trap, al rock indie, all’edm, al raggaeton… l’ascolto è casuale, in realtà poi alla fine soprattutto con gli ultimi progetti l’obiettivo invece ha un focus ben preciso: mi piace immaginarmi come un bridge tra il “vecchio” ed il “nuovo” perché, spesso, come nella moda, tutto torna e la sfida è saperlo far funzionare al passo coi tempi.
In Ti Sembra Vero, da un certo punto di vista ribalti e critichi sia i canoni della trap sia quelli della vita media, creando una specie di parallelismo tra la scena musicale e la vita media contemporanea. Cosa è successo a entrambi i contesti nella nostra situazione contemporanea? E come vedi lo stile e il genere trap in questo momento? Senti una necessità di rinnovare la scena trap italiana?
Guarda, in realtà non è stata una critica alla trap o alla sua “scena”, perché di fatto l’impostazione del brano arriva da quel mondo lì. E’ uno storytelling, soprattutto nella prima strofa, è qualcosa che mi è successo non tanto tempo fa con una Major che mi ha contattato perché colpita dai risultati di “Skippa” e che nell’arco di qualche giorno ha ritrattato alcune pseudo-promesse con scuse senza senso. Forse si aspettavano il ragazzino affamato di successo e con le fette di salame sugli occhi, ma se mi chiedi “Dove vuoi arrivare”, a 36 anni, non posso che risponderti “Il più in alto possibile”. Evidentemente volevano far numero e allora tanto vale rimanere indipendente se non c’è un progetto che sta in piedi.. Il brano poi si evolve nella seconda parte e si, ci avete preso in pieno: proiettandoci in quella che è oggi la realtà, tutto questo ostentare ricchezza, brand e “bella vita” come unico esempio a cosa può portare? Ad altrettanti che ci proveranno e che crederanno che per fare questa roba devi prima pensare a cosa mettere nell’armadio e al collo piuttosto che nei testi. Non ha senso. O per lo meno non è tutto.
Per fortuna, come in tutte le cose, c’è sempre del buono nel marcio, ed i risultati e l’impatto mediatico che sta avendo (finalmente) il rap con tutte le sue diramazioni è bellissimo e lasciatemi dire, dovuto.
Non sento però il dovere o l’onere di rinnovare una scena in particolare, ognuno fa il suo e c’è spazio per tutti: sono gli addetti ai lavori che devono cercare però di differenziare il prodotto e chi lo fornisce, guardando anche al contenuto, altrimenti pur avendo oggi la possibilità di ascoltare tanto e tanti, avremo solo dei copia e incolla.
L’intro di Follow Me è un campione di California Love. Cosa ti ha spinto a inserirlo come presentazione del brano?
Guarda, niente di trascendentale. A parte l’importanza di 2Pac nella mia “crescita musicale”, in realtà con il protagonista (Omar, Ultratrail Runner), che è anche un amico, scherzandoci abbiam sempre detto che assomiglia tantissimo a 2Pac e allora quale sveglia migliore se non California Love?
Il concetto di “sotto casa”, con i social e tutto il resto, è diventato uno spazio immenso. Ma quel è il tuo “sotto casa, quello che senti più vicino a te?
Ti spiazzerò dicendoti che non mi sento rappresentato e né supportato realmente dal mio “sotto-casa”. Quando ho iniziato nel ’97 puntavi tantissimo a crearti un’identità ed una fama all’interno del paese o della “zona” (il mio primo gruppo si chiamava proprio “Tipi della zona”, fantasia!), in realtà col passare del tempo, quando prendi le cose seriamente, ti accorgi che tutto quel supporto “dal basso” non ce l’hai perché tanto loro sanno già chi sei. Una frase che ripeto spesso è “Gli amici o conoscenti sono gli ultimi a supportarti ma i primi che verranno a citofonarti a casa se diventerai qualcuno”. Per misurarti devi uscire dal tuo CAP, e nel mio caso vedere visualizzazioni in altre regioni, e spesso anche all’estero, con altrettanti commenti (positivi o negativi) è una vera vittoria: perché sei arrivato a loro con la tua musica, punto.
Come in Follow Me, in Skippa, ma anche negli altri tuoi brani, tratti la necessità di scrivere testi contrapposta a chi scrive per passare sui social senza veri contenuti, solo per la fama e l’esposizione. Cosa significa per te scrivere?
Si esatto, per me il contenuto è importantissimo. La musica deve comunicare, non ha altro scopo oltre che intrattenere, naturalmente. Ho sempre usato la scrittura e composizione dei brani per sfogarmi, comunicare uno stato d’animo o per provare a far smuovere qualcosa. E’ una valvola di sfogo, come può essere un ring per un pugile: sono io contro me stesso e se riesco a trasmettere la stessa cosa all’ascoltatore, sono la persona più felice del mondo.
In Un Bravo Ragazzo compari vestito molto simile al protagonista di Un Giorno di Ordinaria Follia, ma una versione più giovane e come nel film, quando ti toccano quelle “due o tre cose vedi che ti fa il pazzo”. Quali sono le cose che portano alla ribellione personale?
M fa piacere parlare di brani ormai datati ma che, come “Un bravo ragazzo”, per me hanno segnato l’inizio di un nuovo percorso insieme a Sonny Castillo (Loud Studio), produttore dei miei progetti da almeno 4 anni ormai… L’etichetta di bravo ragazzo mi è stata spesso affibbiata, nel senso che fondamentalmente (appunto) mi son sempre fatto gli affari miei, ho talmente tante cose a cui pensare (tra cui una famiglia) che tutto il resto passa in secondo piano. Questo non vuol dire che può cadermi in testa un meteorite senza che me ne accorga: se metti in dubbio la genuinità e dedizione con la quale produco la mia musica, i numeri che faccio o banalmente, sul personale, tocchi quelle 4/5 persone che per me sono tutto nella vita, allora sarebbe meglio andare ognuno per la sua strada. Per il resto, le chiacchiere, l’invidia degli altri, ed i leoni da tastiera, giusto per una citazione, “possono accompagnare solo”.
L’intervista continua nella pagina dell’artista.
Tag: Demo MC, giudizi popolari, rap, trap italiano, intervista, new bands, band emergenti, nuovi gruppi rap, rap italiano
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