2024-01-09
Commento semiserio al mio rapporto col nu jazz
e ci fermassimo a pensare cosa l’umanità è riuscita a tirare fuori da una lista così smilza di ingredienti, forse non ci dormiremmo neanche bene la notte: sette note per produrre tutta la musica del mondo e del tempo. Questa introduzione filosofica deriva da quello che ho pensato quando, da ignorante, mi sono accostata per la prima volta a tutta una serie di generi musicali che, ho anche scoperto in seguito, non sono quasi mai rimasti cristallizzati nella loro forma originaria, ma hanno generato una serie di “post” e “progressive” e innumerevoli altre definizioni che, mischiando sempre quelle sette note e derivandone ed alterandone le sonorità, hanno dato vita a quantitativi inimmaginabili di musica. Questo mi è successo anche con il jazz. In una famiglia che ascolta solo cantautori italiani, per lungo tempo l’idea che ti fai del jazz è quella che ti può dare la band di Scas Cat degli Aristogatti, quando dopo una serata da sballo tutti quelli che 'voglion fare il jazz' si avviano suonando allegramente per le strade e, cosa ancora più incredibile, nessuno nei dintorni fa caso al fatto che a suonare siano un manipolo di gatti. Se poi crescendo hai visto “La leggenda del pianista sull’oceano”, la battuta del film che dice “quando non sai cos’è, allora è jazz”, la nebbia anziché diradarsi s’infittisce e approfondire la questione inserendo semplicemente qualche keyword su internet non mi è mai passata per la testa.
Poi arriva lo zio esperto di musica, che compra giradischi spaziali perché, se vuoi veramente ascoltare musica, e la sua musica è proprio il jazz, quello che ti ci vuole è un vinile ed un apparecchio in grado di restituirti ogni aroma, ogni sfumatura di quell’opera. E così, all’inizio magari un po’ costretta, poi cominciandoci a prendere gusto, scopro il jazz e penso finalmente di esser arrivata alla conoscenza. Mica male, ‘sto jazz. Ma avevo dimenticato un dettaglio: l’evoluzione. Viene fuori che il jazz ha figliato il “new urban Jazz”, detto anche “nu jazz”, ed ecco come alla prima playlist di nu jazz che ascolto nella mia mente torna una nebbia che neanche nella "Luci a San Siro" di Vecchioni. Quello che ascolto è straordinario: sono voci di donne sensuali e potenti, sono brani strumentali in cui compare la musica elettronica, sono pezzi che hanno fatto tesoro del loro passato ma, restando al passo coi tempi, si sono fusi con ciò che risulta più orecchiabile all’orecchio moderno. Se non ci fosse su l’etichetta nu jazz, non diresti di starlo ascoltando. Ed ecco che il cerchio si chiude, ritorna la battuta di Max Tooney: quando non sai cos’è, allora è jazz. Nu jazz.
Poi arriva lo zio esperto di musica, che compra giradischi spaziali perché, se vuoi veramente ascoltare musica, e la sua musica è proprio il jazz, quello che ti ci vuole è un vinile ed un apparecchio in grado di restituirti ogni aroma, ogni sfumatura di quell’opera. E così, all’inizio magari un po’ costretta, poi cominciandoci a prendere gusto, scopro il jazz e penso finalmente di esser arrivata alla conoscenza. Mica male, ‘sto jazz. Ma avevo dimenticato un dettaglio: l’evoluzione. Viene fuori che il jazz ha figliato il “new urban Jazz”, detto anche “nu jazz”, ed ecco come alla prima playlist di nu jazz che ascolto nella mia mente torna una nebbia che neanche nella "Luci a San Siro" di Vecchioni. Quello che ascolto è straordinario: sono voci di donne sensuali e potenti, sono brani strumentali in cui compare la musica elettronica, sono pezzi che hanno fatto tesoro del loro passato ma, restando al passo coi tempi, si sono fusi con ciò che risulta più orecchiabile all’orecchio moderno. Se non ci fosse su l’etichetta nu jazz, non diresti di starlo ascoltando. Ed ecco che il cerchio si chiude, ritorna la battuta di Max Tooney: quando non sai cos’è, allora è jazz. Nu jazz.
Tag: nu, jazz, urban, tooney
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