2024-05-13
Bravo Baboon, tre ragazzi e il nu jazz italiano - intervista, prima parte
Oggi abbiamo avuto il piacere di intervistare i Bravo Baboon, trio nu jazz che fonde sperimentazione ed estro in un progetto assolutamente interessante per l'ascolto!
- Con "Humanify" e con brani come "Redwood" o anche "A Casa" ci avete ricordato un momento di ricerca musicale che ultimamente si perde nel marasma di quello che a Staimusic chiamiamo “musica fast-food”. Una interessantissima miscela di musica elettronica e jazz, da cosa nasce la doppia identità di questo progetto?
Questa doppia personalità nasce dall’esigenza di non avere dei paletti e delle etichettature che potessero porre un freno al nostro processo creativo. Da sempre il jazz ha vissuto di contaminazioni e nasce proprio dal mescolarsi di elementi sociali, di tempo, sonori e geografici. Abbiamo voluto seguire questa filosofia adattandola al nostro vissuto e al nostro tempo.
- Quali sono gli artisti che vi hanno influenzato maggiormente nel panorama musicale?
Sono diversi anche perché i gusti di noi tre sono parecchio differenti: dalla scena inglese di Kamaal Williams, Alfa mist - progetti più introspettivi in trio come i GoGo Penguin - la visione musicale senza limiti degli Hiatus Kayote - la fantasia e l’eccentricità di Thundercat unito all’elettronica (molti progetti nujazz dell’etichetta Brainfeeder) - il sound acido ma avvolgente di McCaslin, Jason Lindner e Mark Guilliana - l’hip hop e il jazz che si incontrano e dunque tutta la scena di Robert Glasper, Derrick Hodge, Chris Dave - sino ad arrivare alle ispirazioni passate con i grandi trio della storia del jazz, su tutti Herbie Hancock, Ron Carter e Tony Williams il tutto però senza mai perdere di vista l’elemento fondamentale che ci appartiene in quanto italiani: la melodia.
- Molto belle le interruzioni glitch di "I Heard You", un pianoforte romantico spezzato da interferenze. Perché avete deciso di interrompere in questo modo il flusso dell’ascolto?
"I Heard You" nasce da un’idea di Gianluca Massetti (tastierista) ed è una storia romantica.
Un giorno lui stava suonando quel brano nella casa dei suoi parenti nelle Marche. Al piano inferiore abita sua nonna che purtroppo ha perso gran parte dell'udito ma, nonostante questo, è incredibilmente riuscita a sentire quelle note. Gianluca ha così deciso di dedicarle questo brano. La melodia era dolce, prettamente italiana, molto morbida e quasi ‘pop’. Abbiamo discusso sull’inserimento di questo outro nel disco; a me (Dario Giacovelli, bassista) la melodia piaceva ma non riuscivo ad inquadrarla in una dimensione estetica musicale di un concept album. Sentivo il bisogno di inserire qualcosa in più, suoni nuovi o veri e propri glitch. Questo ovviamente ha portato a discussioni - immaginate che non è così tipico, interrompere, rompere e distorcere un brano di pianoforte ‘classico’ - ma anche dopo un consulto con Moreno Maugliani (batterista), ci siamo trovati tutti e tre sulla stessa lunghezza d'onda e abbiamo poi deciso che quegli interventi avevano a che fare con un quadro generale più ampio, una visione musicale ibrida in tutti gli aspetti, una contaminazione che a volte può risultare acida, una sorta di ospite inatteso ma che faceva parte del nostro pensiero e della nostra persona e che quindi andava accettato anche nelle sue sfumature più tetre. Inoltre il concetto della difficoltà di ascolto legato alla storia della nonna di Gianluca è perfettamente in linea con la distruzione sonora, il disturbo e i rumori che vanno a contrastare la dolcezza melodica. Il sound design (magistralmente curato da Mauro Meddi) è diventato parte integrante della traccia, e quelle interruzioni sottolineano la nostra estetica musicale e il nostro pensiero.
- Dove porterete la vostra sperimentazione musicale nei prossimi progetti di Bravo Baboon?
Presto da dire, ora siamo concentrati su "Humanify" ma abbiamo già qualche nuova composizione e ci piacerebbe lavorare con una voce. Chi lo sa? Forse il prossimo album potrà essere completamente cantato, non ci poniamo alcun limite.
- La musica jazz vive in un sottobosco abitato da ascoltatori consapevoli, e musicisti che ne apprezzano le modulazioni e abbellimenti. A quale ascoltatore si rivolge il vostro progetto?
Il nostro progetto parte dal sottobosco ma si rivolge a tutti. Non è un ascolto complesso, il sound può avvicinare anche un giovane lontano dal mondo del jazz e la forte caratteristica melodica può richiamare anche degli ascoltatori che amano una dimensione musicale più intima. Inoltre è fondamentale capire il messaggio sociale del disco che pur non avendo dei testi (a parte il brano che dà il titolo all'album), invita a farsi delle domande personali e a riflettere su noi stessi, sul concetto di essere umani, sul rapporto con gli altri e con il nostro pianeta.
L’intervista continua nella pagina di Bravo Baboon.
- Con "Humanify" e con brani come "Redwood" o anche "A Casa" ci avete ricordato un momento di ricerca musicale che ultimamente si perde nel marasma di quello che a Staimusic chiamiamo “musica fast-food”. Una interessantissima miscela di musica elettronica e jazz, da cosa nasce la doppia identità di questo progetto?
Questa doppia personalità nasce dall’esigenza di non avere dei paletti e delle etichettature che potessero porre un freno al nostro processo creativo. Da sempre il jazz ha vissuto di contaminazioni e nasce proprio dal mescolarsi di elementi sociali, di tempo, sonori e geografici. Abbiamo voluto seguire questa filosofia adattandola al nostro vissuto e al nostro tempo.
- Quali sono gli artisti che vi hanno influenzato maggiormente nel panorama musicale?
Sono diversi anche perché i gusti di noi tre sono parecchio differenti: dalla scena inglese di Kamaal Williams, Alfa mist - progetti più introspettivi in trio come i GoGo Penguin - la visione musicale senza limiti degli Hiatus Kayote - la fantasia e l’eccentricità di Thundercat unito all’elettronica (molti progetti nujazz dell’etichetta Brainfeeder) - il sound acido ma avvolgente di McCaslin, Jason Lindner e Mark Guilliana - l’hip hop e il jazz che si incontrano e dunque tutta la scena di Robert Glasper, Derrick Hodge, Chris Dave - sino ad arrivare alle ispirazioni passate con i grandi trio della storia del jazz, su tutti Herbie Hancock, Ron Carter e Tony Williams il tutto però senza mai perdere di vista l’elemento fondamentale che ci appartiene in quanto italiani: la melodia.
- Molto belle le interruzioni glitch di "I Heard You", un pianoforte romantico spezzato da interferenze. Perché avete deciso di interrompere in questo modo il flusso dell’ascolto?
"I Heard You" nasce da un’idea di Gianluca Massetti (tastierista) ed è una storia romantica.
Un giorno lui stava suonando quel brano nella casa dei suoi parenti nelle Marche. Al piano inferiore abita sua nonna che purtroppo ha perso gran parte dell'udito ma, nonostante questo, è incredibilmente riuscita a sentire quelle note. Gianluca ha così deciso di dedicarle questo brano. La melodia era dolce, prettamente italiana, molto morbida e quasi ‘pop’. Abbiamo discusso sull’inserimento di questo outro nel disco; a me (Dario Giacovelli, bassista) la melodia piaceva ma non riuscivo ad inquadrarla in una dimensione estetica musicale di un concept album. Sentivo il bisogno di inserire qualcosa in più, suoni nuovi o veri e propri glitch. Questo ovviamente ha portato a discussioni - immaginate che non è così tipico, interrompere, rompere e distorcere un brano di pianoforte ‘classico’ - ma anche dopo un consulto con Moreno Maugliani (batterista), ci siamo trovati tutti e tre sulla stessa lunghezza d'onda e abbiamo poi deciso che quegli interventi avevano a che fare con un quadro generale più ampio, una visione musicale ibrida in tutti gli aspetti, una contaminazione che a volte può risultare acida, una sorta di ospite inatteso ma che faceva parte del nostro pensiero e della nostra persona e che quindi andava accettato anche nelle sue sfumature più tetre. Inoltre il concetto della difficoltà di ascolto legato alla storia della nonna di Gianluca è perfettamente in linea con la distruzione sonora, il disturbo e i rumori che vanno a contrastare la dolcezza melodica. Il sound design (magistralmente curato da Mauro Meddi) è diventato parte integrante della traccia, e quelle interruzioni sottolineano la nostra estetica musicale e il nostro pensiero.
- Dove porterete la vostra sperimentazione musicale nei prossimi progetti di Bravo Baboon?
Presto da dire, ora siamo concentrati su "Humanify" ma abbiamo già qualche nuova composizione e ci piacerebbe lavorare con una voce. Chi lo sa? Forse il prossimo album potrà essere completamente cantato, non ci poniamo alcun limite.
- La musica jazz vive in un sottobosco abitato da ascoltatori consapevoli, e musicisti che ne apprezzano le modulazioni e abbellimenti. A quale ascoltatore si rivolge il vostro progetto?
Il nostro progetto parte dal sottobosco ma si rivolge a tutti. Non è un ascolto complesso, il sound può avvicinare anche un giovane lontano dal mondo del jazz e la forte caratteristica melodica può richiamare anche degli ascoltatori che amano una dimensione musicale più intima. Inoltre è fondamentale capire il messaggio sociale del disco che pur non avendo dei testi (a parte il brano che dà il titolo all'album), invita a farsi delle domande personali e a riflettere su noi stessi, sul concetto di essere umani, sul rapporto con gli altri e con il nostro pianeta.
L’intervista continua nella pagina di Bravo Baboon.
Tag: Bravo Baboon, Nu Jazz, intervista, elettronica
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