2024-04-07
Aspettando l'uscita del nuovo album, intervistiamo i Siberia
Oggi intervistiamo I Siberia una band di tendenza della scena livornese. Il gruppo è composta da da Eugenio Sournia (voce, chitarra), Matteo D’Angelo (chitarra), Cristiano Sbolci Tortoli (basso) e Luca Pascual Mele (batteria). Approfondiamo un pó il loro stile new wave e synth pop per capire meglio i profondi contenuti che stanno dietro le pure musicalità pop e dark. Ïl 29 novembre uscira il nuovo album TUTTI AMIAMO SENZA FINE, mentre si puó già ascoltare il singolo
Ian Curtis dell’album stesso.
Passando dai vostri esordi sulla severa scena di Livorno, e il desiderio di creare personaggi e testi che rappresentano le piccole cose, in che modo credete che i vostri difetti, o gli errori che commettete, creino empatia e immedesimazione?
Io credo che la sincerità sia sempre un'arma vincente. In particolare, in provincia (ci venga perdonato questo epiteto pur con tutto l'amore che ci lega alla nostra città) il rischio di essere etichettati come poser è molto alto, specie in un'atmosfera goliardica e beffarda quale quella livornese. Da parte nostra, c'è sempre stata una ricerca di questa sincerità, anche a costo certe volte di apparire un po' naif; ad esempio sui social abbiamo sempre cercato di trasmettere quella che è la nostra vena anche ironica e spensierata, in contrasto con quella che è la nostra immagine di gruppo serioso e introspettivo.
Quali caratteristiche pensate abbiano conquistato il vostro pubblico, ma anche ascoltatori di altri generi?
L'attenzione data ai testi, che è sicuramente maggiore rispetto a quella di tanti artisti coevi (a prescindere poi da quali siano i risultati effettivamente raggiunti) ci ha forse permesso di arrivare ad un pubblico anche un po' più adulto, che forse fa un po' più caso al contenuto, così come gli iniziali riferimenti ad artisti wave. Col nostro disco in uscita stiamo però cercando di allargare la forbice, andando ad essere più diretti sia negli arrangiamenti che nelle parole: sappiamo che purtroppo oggi l'attenzione è una merce preziosissima, e vogliamo creare qualcosa che abbia un forte impatto immediato anche su persone della nostra età o più giovani ancora.
Pensando al testo di Yamamoto, qualche giorno fa in aeroporto ho catturato il dialogo tra tre dirigenti d’azienda che parlavano di serie televisive, tipo quando da bambini parli del cartone animato o della serie vista il giorno prima (e guai ad essersela persa). Stiamo tornando tutti agli anni 90 o non li abbiamo mai mollati del tutto?
Ciclicamente i decenni vengono riproposti, nell'atmosfera, nella moda, nei gusti musicali. In Yamamoto volevo in particolare fare riferimento a questo fenomeno come se si trattasse di un ritorno verso il ventre materno, perché spesso si assiste ad una glorificazione dei tempi passati tanto per, e questo mi sembra qualcosa di piuttosto negativo. Credo però anche che sia una tendenza immutabile dell'uomo, ricordare solo i lati positivi delle epoche già vissute e non che non sia per molti versi io stesso un passatista, anche nel gusto artistico.
Perché è così di moda la depressione?
La sofferenza è un campanello d’allarme o un punto di arrivo che significa salvezza di per sé?
Bisogna sempre tenere a mente una distinzione fondamentale tra sofferenza e patologia psichiatrica. Oggi è effettivamente molto comune parlare in tono quasi compiaciuto di ansia, depressione, desiderio di morte, spesso travisando completamente le conseguenze reali di queste esperienze quando si presentano sotto forme di patologia, banalizzandole, e togliendo in qualche modo spazio ad un discorso serio sopra di esse. Se la sofferenza è un'esperienza fondamentale della vita dell'essere umano, che è inestimabile sia per comprendere meglio se stessi e il mondo che per poter avanzare da un punto di vista creativo, la patologia dev'essere sempre affrontata come tale, non glorificandola né stigmatizzandola, ma curandola.
In molte recensioni, o interviste, spesso si fa o si propone un paragone con altre band o generi musicali. Se da un lato le influenze sono parte del percorso artistico, dall’altro trovo che non sia elegante eccedere. È come incasellare gli artisti. Sentendovi per la prima volta non mi interessa giocare a rintracciare queste influenze, e ipotizziamo che sia la prima volta che sento un disco di musica in vita mia, e quindi vi chiedo, che musica fate?
Cosa descrive la vostra musica, perché vi piace scrivere e suonare così?
I siberia attualmente fanno musica pop in italiano. E questo nel senso che vogliamo cercare di arrivare a chiunque per caso possa sentire una nostra canzone, non includendo appunto tra i requisiti per apprezzarla una conoscenza pregressa di un linguaggio sonoro o testuale cristallizzato da una certa scena. Per arrivare a questo obiettivo, che sicuramente non raggiungeremo mai del tutto, ma è una sorta di stella polare, abbiamo fatto appunto un grosso lavoro di depurazione dalle influenze più immediate.
E ora mi contraddico, ma questa ve la devo chiedere! Dicono che Keats abbia cercato tutta la vita di emulare il suo più grande modello, Shakespeare, e al margine di grandi opere complesse e incompiute ci ha lasciato sonetti semplici ma eterni, composti nella noncuranza del riposo (quando insegnavo letteratura inglese lo immaginavo in bagno che scrive To Autumn invece di fare un cruciverba ;D). Come valutate questo rapporto con i vostri modelli e il ruolo che ha la classicità nel vostro modo di scrivere e comporre?
Quali sono i momenti migliori per comporre?
Mi fa piacere che mi parli di John Keats perché è forse in assoluto il mio poeta preferito di lingua inglese, ho anche visitato la sua casa a Londra. Mi sento di sposare in toto la tua considerazione: spesso le nostre canzoni migliori sono venute fuori da dei momenti di divertissement, di scazzo, mentre i brani più ragionati finiscono per non arrivare allo stesso livello di qualità. A mio parere è fondamentale ispirarsi ad altri artisti, ma è anche necessario porre uno iato tra il modello e il risultato finale; questo spesso si ottiene proprio attraverso un'attitudine giocosa in fase di composizione. Proprio per questo non c'è un momento migliore per comporre. E' necessario mettersi ogni giorno al lavoro, ma spesso quello squarcio in cui si ottiene qualcosa di originale è improvviso e compare magari nei momenti più impensati.
La semplicità linguistica crea immagini chiare e didascaliche, quindi come mediate la complessità innata dei testi con la vostra esigenza comunicativa?
Non c'è una risposta semplice; è un lavoro di fino, capire quali parole, pur classiche, risultino leggere e commestibili, e quali altre invece possano essere semplificate. E' un po' come il lavoro che si deve fare ad esempio rispetto alla proliferazione di termini anglosassoni nella lingua odierna: capire quali davvero non sono sostituibili, e quali invece possono essere resi al meglio anche in italiano. Poi c'è da considerare che la musica e il cantato sono parte fondamentale del linguaggio stesso: un arrangiamento sbarazzino può conferire leggerezza anche ad un testo pesante, e viceversa. Si senta l'esperimento di The andré che canta la trap per capire che il modo in cui si canta e si suona uno stesso pezzo può fare tutta la differenza del mondo nel dargli un certo tono.
Come vivete il rapporto con il pubblico?
Per chi componete, per voi o vi sentite più attori di un teatro che rappresenta il pubblico?
Il pubblico non può essere ignorato, tout court. Questo disco in particolare nasce con in mente il pubblico. Non vogliamo condannarci ad essere irrilevanti, seppur piccolo vogliamo avere un gruppo di persone che ci segue con convinzione, e puntiamo ad allargarlo, perché secondo noi alcune nostre canzoni hanno tanto da dare e meritano di essere conosciute e cantate.
Com’è stata l’esperienza di San Remo giovani?
A posteriori ha contribuito a toglierci la paura di apparire troppo pop, e ci ha fatto capire quanto talento potesse annidarsi anche negli artisti della scena cd. mainstream. Per quattro ragazzi poco più che ventenni che venivano dall'underground è stato dunque un momento importante.
Che progetti avete per il futuro?
Non vediamo l'ora di portare il nostro disco dal vivo. Con il tempo stiamo capendo sempre di più quanto sia importante creare uno spettacolo all'altezza, e stiamo lavorando duramente per dare alle persone che si presenteranno ai nostri concerti una bellissima esperienza, piena di energia. Senza contare che siamo quattro amici e ci divertiremo come pazzi!
Passando dai vostri esordi sulla severa scena di Livorno, e il desiderio di creare personaggi e testi che rappresentano le piccole cose, in che modo credete che i vostri difetti, o gli errori che commettete, creino empatia e immedesimazione?
Io credo che la sincerità sia sempre un'arma vincente. In particolare, in provincia (ci venga perdonato questo epiteto pur con tutto l'amore che ci lega alla nostra città) il rischio di essere etichettati come poser è molto alto, specie in un'atmosfera goliardica e beffarda quale quella livornese. Da parte nostra, c'è sempre stata una ricerca di questa sincerità, anche a costo certe volte di apparire un po' naif; ad esempio sui social abbiamo sempre cercato di trasmettere quella che è la nostra vena anche ironica e spensierata, in contrasto con quella che è la nostra immagine di gruppo serioso e introspettivo.
Quali caratteristiche pensate abbiano conquistato il vostro pubblico, ma anche ascoltatori di altri generi?
L'attenzione data ai testi, che è sicuramente maggiore rispetto a quella di tanti artisti coevi (a prescindere poi da quali siano i risultati effettivamente raggiunti) ci ha forse permesso di arrivare ad un pubblico anche un po' più adulto, che forse fa un po' più caso al contenuto, così come gli iniziali riferimenti ad artisti wave. Col nostro disco in uscita stiamo però cercando di allargare la forbice, andando ad essere più diretti sia negli arrangiamenti che nelle parole: sappiamo che purtroppo oggi l'attenzione è una merce preziosissima, e vogliamo creare qualcosa che abbia un forte impatto immediato anche su persone della nostra età o più giovani ancora.
Pensando al testo di Yamamoto, qualche giorno fa in aeroporto ho catturato il dialogo tra tre dirigenti d’azienda che parlavano di serie televisive, tipo quando da bambini parli del cartone animato o della serie vista il giorno prima (e guai ad essersela persa). Stiamo tornando tutti agli anni 90 o non li abbiamo mai mollati del tutto?
Ciclicamente i decenni vengono riproposti, nell'atmosfera, nella moda, nei gusti musicali. In Yamamoto volevo in particolare fare riferimento a questo fenomeno come se si trattasse di un ritorno verso il ventre materno, perché spesso si assiste ad una glorificazione dei tempi passati tanto per, e questo mi sembra qualcosa di piuttosto negativo. Credo però anche che sia una tendenza immutabile dell'uomo, ricordare solo i lati positivi delle epoche già vissute e non che non sia per molti versi io stesso un passatista, anche nel gusto artistico.
Perché è così di moda la depressione?
La sofferenza è un campanello d’allarme o un punto di arrivo che significa salvezza di per sé?
Bisogna sempre tenere a mente una distinzione fondamentale tra sofferenza e patologia psichiatrica. Oggi è effettivamente molto comune parlare in tono quasi compiaciuto di ansia, depressione, desiderio di morte, spesso travisando completamente le conseguenze reali di queste esperienze quando si presentano sotto forme di patologia, banalizzandole, e togliendo in qualche modo spazio ad un discorso serio sopra di esse. Se la sofferenza è un'esperienza fondamentale della vita dell'essere umano, che è inestimabile sia per comprendere meglio se stessi e il mondo che per poter avanzare da un punto di vista creativo, la patologia dev'essere sempre affrontata come tale, non glorificandola né stigmatizzandola, ma curandola.
In molte recensioni, o interviste, spesso si fa o si propone un paragone con altre band o generi musicali. Se da un lato le influenze sono parte del percorso artistico, dall’altro trovo che non sia elegante eccedere. È come incasellare gli artisti. Sentendovi per la prima volta non mi interessa giocare a rintracciare queste influenze, e ipotizziamo che sia la prima volta che sento un disco di musica in vita mia, e quindi vi chiedo, che musica fate?
Cosa descrive la vostra musica, perché vi piace scrivere e suonare così?
I siberia attualmente fanno musica pop in italiano. E questo nel senso che vogliamo cercare di arrivare a chiunque per caso possa sentire una nostra canzone, non includendo appunto tra i requisiti per apprezzarla una conoscenza pregressa di un linguaggio sonoro o testuale cristallizzato da una certa scena. Per arrivare a questo obiettivo, che sicuramente non raggiungeremo mai del tutto, ma è una sorta di stella polare, abbiamo fatto appunto un grosso lavoro di depurazione dalle influenze più immediate.
E ora mi contraddico, ma questa ve la devo chiedere! Dicono che Keats abbia cercato tutta la vita di emulare il suo più grande modello, Shakespeare, e al margine di grandi opere complesse e incompiute ci ha lasciato sonetti semplici ma eterni, composti nella noncuranza del riposo (quando insegnavo letteratura inglese lo immaginavo in bagno che scrive To Autumn invece di fare un cruciverba ;D). Come valutate questo rapporto con i vostri modelli e il ruolo che ha la classicità nel vostro modo di scrivere e comporre?
Quali sono i momenti migliori per comporre?
Mi fa piacere che mi parli di John Keats perché è forse in assoluto il mio poeta preferito di lingua inglese, ho anche visitato la sua casa a Londra. Mi sento di sposare in toto la tua considerazione: spesso le nostre canzoni migliori sono venute fuori da dei momenti di divertissement, di scazzo, mentre i brani più ragionati finiscono per non arrivare allo stesso livello di qualità. A mio parere è fondamentale ispirarsi ad altri artisti, ma è anche necessario porre uno iato tra il modello e il risultato finale; questo spesso si ottiene proprio attraverso un'attitudine giocosa in fase di composizione. Proprio per questo non c'è un momento migliore per comporre. E' necessario mettersi ogni giorno al lavoro, ma spesso quello squarcio in cui si ottiene qualcosa di originale è improvviso e compare magari nei momenti più impensati.
La semplicità linguistica crea immagini chiare e didascaliche, quindi come mediate la complessità innata dei testi con la vostra esigenza comunicativa?
Non c'è una risposta semplice; è un lavoro di fino, capire quali parole, pur classiche, risultino leggere e commestibili, e quali altre invece possano essere semplificate. E' un po' come il lavoro che si deve fare ad esempio rispetto alla proliferazione di termini anglosassoni nella lingua odierna: capire quali davvero non sono sostituibili, e quali invece possono essere resi al meglio anche in italiano. Poi c'è da considerare che la musica e il cantato sono parte fondamentale del linguaggio stesso: un arrangiamento sbarazzino può conferire leggerezza anche ad un testo pesante, e viceversa. Si senta l'esperimento di The andré che canta la trap per capire che il modo in cui si canta e si suona uno stesso pezzo può fare tutta la differenza del mondo nel dargli un certo tono.
Come vivete il rapporto con il pubblico?
Per chi componete, per voi o vi sentite più attori di un teatro che rappresenta il pubblico?
Il pubblico non può essere ignorato, tout court. Questo disco in particolare nasce con in mente il pubblico. Non vogliamo condannarci ad essere irrilevanti, seppur piccolo vogliamo avere un gruppo di persone che ci segue con convinzione, e puntiamo ad allargarlo, perché secondo noi alcune nostre canzoni hanno tanto da dare e meritano di essere conosciute e cantate.
Com’è stata l’esperienza di San Remo giovani?
A posteriori ha contribuito a toglierci la paura di apparire troppo pop, e ci ha fatto capire quanto talento potesse annidarsi anche negli artisti della scena cd. mainstream. Per quattro ragazzi poco più che ventenni che venivano dall'underground è stato dunque un momento importante.
Che progetti avete per il futuro?
Non vediamo l'ora di portare il nostro disco dal vivo. Con il tempo stiamo capendo sempre di più quanto sia importante creare uno spettacolo all'altezza, e stiamo lavorando duramente per dare alle persone che si presenteranno ai nostri concerti una bellissima esperienza, piena di energia. Senza contare che siamo quattro amici e ci divertiremo come pazzi!
Tag: siberia, intervista, livorno, pop italiano, dark
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